UTE: La poesia di Ungaretti. (prof. E. Galli)

Il professor Galli ha tenuto oggi pomeriggio una lezione molto intensa sulla poesia di Ungaretti.

La conferenza è iniziata con alcuni  essenziali cenni biografici, per ripercorrere le vicende che più di tutte hanno segnato profondamente la vita del poeta e la sua produzione poetica, poi è seguita subito una rapida analisi delle composizioni più significative.

Quelle che oggi vengono più lette e apprezzate, appartengono al periodo in cui Ungaretti scriveva le sue poesie tra un assalto e l’altro nell’orrore delle trincee, teatro della Prima Guerra Mondiale. Fu un ufficiale, il critico letterario Ettore Serra, a comprendere la forza e il valore di quegli scritti e li fece pubblicare.

Appartengono a questa prima raccolta, intitolata “Allegria”. poesie famose come “Veglia”, San Martino del “Carso”, “Soldati”, “Fratelli”, “Commiato” “Mattina”, Pellegrinaggio”.  In queste composizioni  è riscontrabile la grande innovazione portata da Ungaretti nel linguaggio poetico: egli usa non parole auliche o altisonanti, ma solo parole povere, comuni, semplici; non usa punteggiatura, non c’è metrica tradizionale, non ci sono rime. Ma le parole essenziali sono frutto di lunga ricerca interiore e di meditazione e anche gli spazi bianchi assumono un significato; i versi sono brevi, scarni, ma esprimono sentimenti profondi ed emozioni intense.  Qui il poeta svolge fino in fondo la sua “missione”, che è quella di esprimere con la forza della sua sensibilità particolare ciò che la gente “comune” sente nel cuore, ma non riesce ad esprimere pienamente.

A contrasto con questa prima produzione giovanile, il nostro docente ci ha poi proposto la lettura della poesia “L’isola”, che appartiene al periodo tra le due guerre e che si configura come esempio tipico di poesia ermetica. Qui il linguaggio è più ricercato, la sintassi più complessa, l’interpretazione spesso ambigua.

Un momento particolarmente toccante della lezione è giunto al momento della lettura della poesia “La madre”, quando alla suggestiva immagine, evocata dal poeta, di sua madre inginocchiata davanti a Dio per implorare il perdono del figlio, il prof Galli ha ricordato con commozione le parole di sua madre prima di morire: -Ti aspetto in Paradiso!-

Interessante anche le considerazioni finali del professore: le poesie che amiamo di più non sono necessariamente quelle da tutti considerate le più belle, ma sono quelle che ci toccano il cuore, quelle che esprimono emozioni che abbiamo sperimentato direttamente. Ed è bellissimo per un insegnante riuscire a far “sentire” queste emozioni ai propri alunni: sono momenti che ripagano delle fatiche e delle frustrazioni dell’insegnamento.

Grazie professor Galli!

Riporto qui una poesia riascoltata oggi:

LA VEGLIA.

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

E’ proprio quando sentiamo tutta la fragilità del nostro essere umani, quando la morte ci sfiora o incombe su di noi che ritroviamo ciò che più conta, l’amore, e che apprezziamo fino in fondo il dono prezioso della vita.

Rileggendo le ultime righe non ho potuto fare a meno di riandare con la mente a quella bellissima romanza “E lucean le stelle” che Cavaradossi canta prima di essere giustiziato (nell’opera lirica “Tosca”).

 

Poesia: Di lassù (Pascoli) e altro…

allodolaLa lodola perduta nell’aurora
si spazia, e di lassù canta alla villa,
che un fil di fumo qua e là vapora;

di lassù largamente bruni farsi
i solchi mira quella sua pupilla
lontana, e i bianchi bovi a coppie sparsi.

Qualche zolla nel campo umido e nero
luccica al sole, netta come specchio:
fa il villano mannelle in suo pensiero,
e il canto del cuculo ha nell’orecchio.

Non conoscevo questa poesia del Pascoli ispirata dal volo e dal canto dell’allodola, che ha l’abitudine di cominciare a cantare alle prime luci dell’aurora e pare contemplare dall’alto il mondo che si risveglia. Intanto il contadino che sta arando il suo campo sogna già i raccolti che potrà fare nella bella stagione. Questa poesia del Pascoli mi ha fatto ricordare un altro momento bellissimo in cui si parla del canto dell’allodola.

Giulietta e Romeo (nell’opera omonima di Shakespeare) hanno appena romeo e giuliettatrascorso la loro prima notte insieme, dopo il matrimonio segreto, e Romeo sta per lasciare la sua amata sposa: deve fuggire presto dalla città per non essere condannato a morte , ma ….
GiuliettaVuoi andare già via? Ancora è lontano il giorno:
non era l’allodola, era l’usignolo
che trafisse il tuo orecchio timoroso:
canta ogni notte laggiù dal melograno;
credimi, amore, era l’usignolo.
Romeo: Era l’allodola, messaggera dell’alba,
non l’usignolo. Guarda, amore, la luce invidiosa
a strisce orla le nubi che si sciolgono a oriente;
le candele della notte non ardono più e il giorno
in punta di piedi si sporge felice dalle cime
nebbiose dei monti. Devo andare: è la vita,
o restare e morire.

Giulietta: Quel chiarore laggiù
non è la luce del giorno, lo so: è una meteora
che si libera per te dal sole questa notte,
la torcia per farti lume sulla via di Mantova;
dunque rimani ancora, c’è tempo per andare.
Romeo: Mi prendano pure, sarà certo la morte,
ma sono felice se tu vuoi così. E dirò, allora,
che là, quel grigio non è l’occhio del mattino
ma il fioco riverbero della fronte di Cinzia;
che non è l’allodola a battere la volta
del cielo, così alta su noi. Io voglio restare,
non veglio più partire: vieni, o morte,
sarai la benvenuta! Vuole così Giulietta.
Che c’è, anima mia? Parliamo, non è giorno.

Questo momento è sempre così commovente e intenso: anche dopo secoli riesce a parlare al cuore di noi tutti….

Natale …in tempo di COVID.

Il

cielo è

grigio, uniforme.

La montagna è nera

e la  cima è avvolta dalle nuvole.

Si è alzato all’improvviso un vento forte,

che scuote gli alberi e fa sentire la sua voce piena di ira

Mulinelli di foglie corrono per il vialetto.

La casa è buia, silenziosa.

E’ Natale …

in tempo di Covid.

Poesia: Dicembre è sempre stato… (di Lars Gustafsson)

Ciò che rende più pesante il trascorrere dei giorni in questo periodo dell’anno è certamente la mancanza di luce; il buio che incombe su gran parte del giorno induce alla malinconia, porta pensieri tristi. Se è così per tanti di noi che viviamo in queste nostre zone, possiamo ben immaginare quanto diventi oppressiva la fame di luce in chi vive nell’estremo nord del mondo , in cui per mesi non si vede un raggio di sole.

Dicembre è sempre stato il mese
in cui si smetteva di esistere.
Si diventava una parentesi nel buio, o poco più.
Si accendevano lanterne, lampade e candele.
Ma era evidente
che non bastavano
contro il fiume straripante delle tenebre.
È facile capire
un messaggio natalizio
più pagano, più primitivo:
A qualsiasi costo con torce e fiaccole
riavere una luce solare
il cui ritorno non era mai scontato.

La mancanza di luce, l’assedio delle tenebre, il tentativo di vincerle con torce e fiaccole è ciò che ricorda il poeta svedese Gustafsson del suo paese nel mese di dicembre.  La gente smetteva di esistere e si spiegano così gli antichi riti  nei quali con ogni mezzo si cercava di esorcizzare la paura di non rivedere più la luce del sole.dicembre svedese

Passeggiando in cortile.

In questi giorni passeggio in cortile attorno all’aiuola condominiale e, mentre mi sento un po’ come un criceto che corre dentro la ruota, ho anche il tempo di osservare e di pensare.

Appesa ai rami del noce, ormai completamente spoglio, c’è un’altalena sempre ferma: da quanto tempo

All-focus
All-focus

nessun bambino vi sale per lasciarsi cullare …. e ripenso con un po’ di malinconia a quando questo cortile risuonava di grida festose, di richiami, di risate e bastava affacciarsi alla finestra per respirare un po’ di allegria.

Lì accanto c’è un alloro ormai diventato altissimo, che conserva tutte le sue foglie e con esse affronterà i rigori della stagione fredda che sta per arrivare.

La vista dell’alloro mi richiama alla mente una poesia che ho imparato a scuola e che ora trascrivo qui:

L’alloro e la vite  (Giacomo Zanella)

Odio l’allor, che quando alla foresta
le nuovissime fronde invola il verno,
ravviluppato nell’intatta vesta
verdeggia eterno,
pompa de’ colli; ma la sua verzura
gioia non reca all’augellin digiuno;
che’ la splendida bacca invan matura
non coglie alcuno.
Te, poverella vite, amo, che quando
fiedon le nevi i prossimi arboscelli,
tenera l’altrui duol commiserando
sciogli i capelli.
Tu piangi, derelitta, a capo chino
sulla ventosa balza. In chiuso loco
gaio frattanto il vecchierel vicino
si asside al foco.
Tien colmo un nappo: il tuo licor gli cade
nel’ondeggiar del cubito sul mento;
poscia floridi paschi ed auree biade
sogna contento.

Devo dire che io non odio l’alloro del cortile, che non ha colpa alcuna se le sue foglie coriacee possono consentirgli di affrontare l’inverno senza  spogliarsene e se le sue bacche non sono commestibili: probabilmente a lui è stato affidato il compito di ornare la terra, di renderla più bella e di rendere il paesaggio invernale meno triste.   Così la vite, che per il poeta è così generosa, non ha nessun merito se la natura l’ha resa capace di donare frutti squisiti e vini  gustosi: ogni creatura ha i suoi talenti e i suoi compiti.

E’ così anche per noi umani : ognuno di noi è prezioso e unico e nella diversità di ciascuno sta la ricchezza dell’umanità.

Poesia: Farò della mia anima… (Lord Byron)

Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.
prateriaTi amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

E’ strano questa poesia viene attribuita in certi siti a Lord Byron, poeta inglese del romanticismo) e in altri a K. Gibran. Poichè il primo ha preceduto il secondo di quasi due secoli, penso che non abbia potuto plagiare Gibran….forse sarà accaduto il contrario? Non so.

So però che questa è una splendida poesia d’amore, sgorgata da un cuore sensibile e appassionato.

Noi ci impegniamo… (don P. Mazzolari)

Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
La primavera incomincia con il primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua
l’amore col primo pegno.
Ci impegniamo
perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta
a impegnarci perpetuamente.

 

Quando ci viene voglia di lamentarci per i mali del mondo che ci circonda, dovremmo rileggere questa poesia e ….. rimboccarci le maniche senza pensare se il nostro impegno sarà produttivo, che risultati otterremo. Il solo fatto che noi ci impegniamo e cambiamo il nostro atteggiamento renderà il mondo migliore ..anche se saremo solo una goccia nell’oceano.