Non solo regali….

Ecco un altro racconto di Natale, che deve farci riflettere…Dedicato alle persone che trascorreranno il Natale in solitudine.

“Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.

«Avanti», disse una voce dall’interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d’ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c’era un vecchio.

«Guardi che stupendo pacco di Natale!» disse allegramente il postino.
«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
«Non c’è amore dentro»

Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l’aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste?
«Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnifico regalo?».

«Non posso… Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».

«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.

«Ma … » fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
«No», disse mestamente il vecchio. «Non c’è amore dentro».”

Tratto da  menocinque.htm

Che ogni nostro regalo fatto o ricevuto  contenga un po’ d’ amore….

Il Natale di Martin (di L. Tolstoj)

Il Natale di Martin

di Leone Tolstoj

 

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
– Non ho più desiderio di vivere – gli confessò. – Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati… Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All’improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c’era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: – Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L’indomani mattina Martin si alzò prima dell’alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. – Entra· disse – vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
– Che Dio ti benedica!-  rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
– Non è niente – gli disse Martin. – Siediti e prendi un po’ di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all’ospite. Stepanic bevve d’un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po’. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
– Stai aspettando qualcuno? – gli chiese il visitatore.
– Ieri sera-  rispose Martin – stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: “Guarda in strada domani, perché io verrò”.
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. – Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l’anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po’ di pane e della zuppa. – Mangia, mia cara, e riscaldati –  le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: –  Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. – Ecco – disse. –  È un po’ liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. – Che il Signore ti benedica.
–  Prendi – disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un’ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po’, vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all’altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. – Lascialo andare, nonnina – disse Martin. – Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. – Chiedi perdono alla nonnina – gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: – Te la pagherò io, nonnina.
– Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato – disse la vecchia.
– Oh, nonnina – fece Martin – se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
– Sarà anche vero – disse la vecchia – ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. – Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l’ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all’orecchio: – Martin, non mi riconosci?
– Chi sei? – chiese Martin.
– Sono io – disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
– Sono io – disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
– Sono io – ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

8 Dicembre: festa dell’ Immacolata (con poesia…)

Ci sono molte idee confuse in giro sul significato della festa dell’ Immacolata . C’ è chi pensa che oggi si ricordi la maternità verginale di Maria, mentre invece si ricorda il privilegio di essere stata preservata dal peccato originale….cioè dalla tendenza che abbiamo tutti di lasciarci affascinare da ciò che non è Bene.

Chi non aveva le idee confuse era il nostro Dante che nell’ ultimo canto del Paradiso scrive:

 

vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
3
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
6
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
9
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
12
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ali…

Poesia per Dicembre che inizia proprio ora….

Saluto il mese di Dicembre con questa breve poesia /filastrocca di Renzo Pezzani.

Il mese poverello
Bigio il ciel, la terra brulla:
questo mese poverello
nella sporta non ha nulla,
ma tien vivo un focherello.
Senza gregge e campanello
solo va, pastor del vento.
Con la neve nel cappello
fischia all’uscio il suo lamento.
Breve il dì, lunga la notte,
cerca il sole con affanno.
Ha le tasche vuote e rotte,
ma nasconde il pan d’un anno. (R. Pezzani)

Certo Pezzani nell’ ultimo verso allude al vecchio proverbio che dice: Sotto la neve , pane…….chissà se vale ancora con le variazioni climatiche del giorno d’ oggi….

Dedicato “to my friends” (del corso di inglese)

Dedico alle mie amiche del corso di inglese il testo di questa famosissima canzone , che mi pare di facile comprensione:

Que Sera Sera

When I was just a little girl,                                           Quando ero solo una bambina

I asked my mother: “What will I be?                             Ho chiesto a mia madre:” Cosa sarò?
Will I be pretty? Will I be rich?”                                     Sarò bella? Sarò ricca?”
Here’s what she said to me:                                             Ecco quello che lei mi disse:
Que sera sera                                                                       Che sarà, sarà
Whatever will be, will be                                                   Qualunque cosa sarà, sarà
The future’s not ours to see                                              Non possiamo vedere il futuro
Que sera sera                                                                        Che sarà, sarà.
What will be, will be                                                            Che sarà sarà

Since I am just a boy in school,                                        Da quando sono uno scolaro
I asked my teacher: “What should I try?                        ho chiesto al mio insegnante: “Cosa d
Should I paint pictures? Should I sing songs?”            dovrei provare? Dovrei fare il pittore
This was her wise reply:                                                     Dovrei cantare canzoni?” Questa fu
Que sera sera                                                                        la sua saggia risposta: Che sarà, sarà
Whatever will be, will be                                                    Qualunque cosa sarà, sarà
The future’s not ours to see                                               Non possiamo vedere il futuro
Que sera sera                                                                        Che sarà, sarà….
What will be, will be                                                            Che sarà , sarà…
When I grew up and fell in love,                                       Quando diventai grande e
I asked my lover: “What lies ahead?                                m’innamorai, Chiesi al mio amore:
Will we have rainbows day after day?”                            “Che cosa ci aspetta? Avremo
Guess what my lover said:                                                  arcobaleni giorno dopo giorno?”
Que sera sera                                                                         Indovina cosa disse il mio amore:
Whatever will be, will be                                                     Che sarà, sarà, qualunque cosa
The future’s not ours to see                                                 sarà, sarà…Non possiamo vedere il
Que sera sera                                                                          futuro…che sarà, sarà…che sarà,
What will be, will be                                                              sarà…
Now I have children of my own                                          Ora ho dei bambini miei e loro
They ask their mother: “What will I be?”                         chiedono alla loro mamma: “Cosa
“Will I be pretty?” “Will I be rich?”                                    sarò? Sarò bella? Sarò ricco?”
I tell them tenderly:                                                               Io dico loro teneramente:
Que sera sera                                                                           Che sarà, sarà…ecc.
Whatever will be, will be
The future’s not ours to see
Que sera sera
What will be, will be

E poi potremmo anche provare a cantare insieme a Doris Day

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Poesia : Novembre di M. Moretti

A tratti versa qualche goccia il cielo,
qualche piccola lacrima smarrita
e la selva si scuote irrigidita
in un subito brivido di gelo.
Il colchico nei luoghi più deserti
poggia pensoso, e sotto i pioppi lunghi
sorgono, nel silenzio umido, i funghi,

che tengono sempre i loro ombrelli aperti;
e nei giardini taciti e negli orti
nascon, quasi piangendo, i fiori estremi,
i crisantemi per i nostri morti.

E’ una composizione che non tocca i vertici più alti della poesia , ma è garbata e ha inoltre il merito di avermi fatto scoprire il “colchico” ; se anche per voi questa pianta è un’ illustre sconosciuta e se volete porre fine a questa lacuna del vostro sapere, cliccate QUI

Ultime rose…

Nel mio giardino le rose si ostinano a fiorire, incoraggiate dalle temperature miti. Le ultime rose dell’ anno mi fanno sempre molta tenerezza  e a loro dedico questa poesia di Attilio Bertolucci.
LA ROSA BIANCA .
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E’ un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.
E’ una poesia molto delicata, ma mi lascia un po’ perplessa l’ accenno alla smemoratezza dei trent’ anni….  A trent’ anni si è smemorati?

Poesia: Solitudine

E’ una poesia di Pascoli che non conoscevo e che mi  piace per l’ efficacia con cui viene resa la solitudine di un caldo giorno d’ estate su un colle distante dalla città, da cui giunge solo una lontana eco delle attività e delle passioni che travagliano la gente…

Giovanni PascoliSolitudine

Da questo greppo solitario io miro

passare un nero stormo, un aureo sciame;
mentre sul capo al soffio di un sospiro
ronzano i fili tremuli di rame.

È sul mio capo un’eco di pensiero       5
lunga, né so se gioia o se martoro;
e passa l’ombra dello stormo nero,
e passa l’ombra dello sciame d’oro.

Sono città che parlano tra loro,

città nell’aria cerula lontane;       10
tumultuanti d’un vocìo sonoro,
di rote ferree e querule campane.

Là, genti vanno irrequïete e stanche,
cui falla il tempo, cui l’amore avanza
per lungi, e l’odio. Qui, quell’eco ed anche       15
quel polverio di ditteri, che danza.

Parlano dall’azzurra lontananza

nei giorni afosi, nelle vitree sere;
e sono mute grida di speranza
e di dolore, e gemiti e preghiere. . .       20

Qui quel ronzìo. Le cavallette sole
stridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole;
trema uno stelo sotto una farfalla.

 

Che meraviglia le strofe che aprono e chiudono questa poesia! E’ una solitudine piena di serenità, riempita dalla contemplazione della natura