E’ il maggio odoroso….

Stasera uno scroscio di pioggia tanto breve quanto inatteso, mi ha costretta a correre fuori per ritirare i panni stesi. Appena ho aperto la porta finestra sono stata investita da un’ onda di profumi: profumo di rose, di erba e di terra bagnata….E mi è venuta in mente una frase: “Era il maggio odoroso…”  Aveva ragione il buon Leopardi : maggio è veramente ricco di profumi. La frase che mi è rimbalzata nella mente si trova nella poesia “A SILVIA” che credo sia una delle più belle e più tristi che il Leopardi ha scritto. Ricordatela insieme a me….

 

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore

Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.

Poesia: La gioia perfetta.

Ricordo di aver studiato , forse alle elementari,la poesia di Diego Valeri ” LA GIOIA PERFETTA”. Essa ritrae un mondo di povertà, di squallore , che però viene “nobilitato” dalla presenza dei simboli della vita che rinasce …. E’ forse un po’ “mielosa” ma gradevole…
Com’è triste il giorno di maggio   
dentro il vicolo povero e solo!
Di tanto sole neppure un raggio,
con tante rondini neanche un volo..
Pure, c’era in quello squallore,
in quell’uggia greve e amara,
un profumo di cielo in fiore,
un barlume di gioia chiara.
C’era… c’erano tante rose
affacciate a una finestra,
che ridevano come spose
preparate per la festa.
C’era, seduto sui gradini             
d’una casa di pezzenti,
un bambino piccino piccino
dai grandi occhi risplendenti.
C’era, in alto, una voce di mamma
così calma, così pura!
che cantava la ninna nanna
alla propria creatura.
E poi dopo non c’era più nulla…
Ma, di maggio, alla via poveretta
basta un bimbo, un fiore, una culla
per formarsi una gioia perfetta.

Soffia il vento…

Da tre giorni  il vento ci fa buona compagnia e spazza il cielo rendendolo più luminoso che mai.

Molti restano infastiditi dal vento, a me invece piace: mi pare che tutto intorno  sia più pulito, più nuovo. Ecco una delle poesie più famose che io ricordi sul tema del vento…

Il vento
Nel colmo della notte, a volte, accade
che ti risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, viene per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.
Striscia, guardingo, fino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case intorno,
tutte le querce, chinate sulla piana.

(Rainer Maria Rilke)

Arriva maggio

il mese di maggio sta per arrivare e voglio accoglierlo con questa bellissima canzone cantata da Lucio Dalla Era de Maggio. Copio e incollo anche il testo composto da Salvatore di Giacomo.

Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce…
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce…
E diceva: “Core, core!
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll’ore…
chisà quanno turnarraje!”
Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose…
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá…
Si stu sciore torna a maggio,
pure
a maggio io stóngo ccá.”

E só’ turnato e mo, comm’a na vota,
cantammo ‘nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ‘ammore vero no, nun vota vico…
De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,
si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana:
Ll’acqua, llá dinto, nun se sécca maje,
e ferita d’ammore nun se sana…

Nun se sana: ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata,
a guardarte io nun starría !
E te dico: “Core, core!
core mio, turnato io só…
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó!
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó ”

Le canzoni classiche napoletane hanno un fascino unico: sanno esprimere emozioni e sentimenti con una immediatezza , una dolcezza e una profondità ineguagliabili; il passare del tempo non le rende mai “vecchie”, anzi mantengono immutata la loro capacità di “parlare” al cuore della gente di ogni epoca.

Un dono.

Domani saremo in festa : l’ ultimo membro della nostra famiglia, riceverà il Battesimo. E’ a lui e ai suoi tre cuginetti che dedico questa poesia del Mahatma Gandhi .

Un dono
Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l’ ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi coraggio,
mettilo nell’ animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza, e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà, e donala a chi non sa donare.
Scopri l’ amore, e fallo
conoscere al mondo.
Mahtma Gandhi

Poesia di Pasqua

GESU’  di G. Pascoli

ges_bambini2_webE Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte,
il suo giorno non molto era lontano.
E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: Ave, Profeta!
Egli pensava al giorno di sua morte.
Egli si assise, all’ombra d’una mèta
di grano, e disse: Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta.
Egli parlava di granai ne’ Cieli:
e voi, fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.
Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: Se costì siedi,
temo per l’inconsutile tua veste;
Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
-Il figlio – Giuda bisbigliò veloce-
d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra ‘piedi:
Barabba ha nome il padre suo, che in croce
morirà.- Ma il Profeta, alzando gli occhi
-No-, mormorò con l’ombra nella voce,
e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

E’ un Gesù mite e presago della sua fine imminente questo che ci viene tratteggiato nella poesia di Pascoli; un Gesù che appare insensibile agli osanna della gente, ma che accoglie con affetto i bambini che gli corrono incontro scarmigliati e festosi. Pietro appare un po’ meschino con quel suo cercare di allontanarli, temendo che rovinino la veste del maestro e Giuda  addita uno dei piccoli come figlio di Barabba, un brigante,  invece è proprio a quel bimbo che Gesù riserva il privilegio di salirGli sulle ginocchia….

 

Ute: poesia dialettale: Tren de nott.

Ore 15: Poesia dialettale comasca (docenti Ghioni E. – Gottardi F.)

I commenti  illuminanti del dr. Ghioni e la lettura efficacissima del sig. Gottardi ancora una volta ci hanno consentito di immergerci nella magia della poesia dialettale comasca, che forse non è conosciuta  come meriterebbe. Eccone qui un esempio…..

  Treno de nott (Gisella Azzi)     

Testo originale  
Treno da trenta vagon,
che te vee, te vee
per sta campagna scura
cor minga, cor minga
inscì fort: gh’hoo paura!La banchetta l’è pienna; e tucc sti gent
che vann a lavorà
inscì lontan de cà,
varden el finestroeu e dìsen nient.La banchetta l’è dura, l’è de legn
(la banca che gh’è là
taccaa al camin, a cà,
l’è nò inscì dura)…Chì, nissun fa segn:

vàrden el finestroeu e disen nient:
ma foeura gh’è nagott
de vedè: gh’è la nott
negra come ‘l carbon; e dent per dent

domà ‘na quaj stazion la passa via,
la cor senza fermass:
che bordell, che frecass!
(Coss’è che la farà la mia Lucia

a st’ora chì? I fioeu sarann in lett
giamò indormentaa.
Lee la gh’avrà insegnaa
a dì su l’orazion…quand che i scarpett

borlen giò in terra, cont i pescitt biott
– ven voeuja de cagnàj –
tucc i ser, i bagaj
giugàtten, fann dannà, baloss!)…Che nott!

Che scur a gh’è! Ma adess on quaj ciarin
là in fond, bell sberlusent,
el par on poo parent
di lugher de la brasca, in del camin,

però minga inscì viscor; (i lugher!
Vedèi ammò a volà
dent in la cappa, a cà!)
questi hinn fregg, come i stell. Cambiemm pensér.

Quand che ‘l soo’l scalderà ‘l vagon e i oss
avremm passaa ‘l confin;
e sto pan moresin,
che adess el canta ammò, el sarà poss.

. . . . . . . . . . . .

Treno da trenta vagon,
che te vee, te vee
per sta campagna scura
cor minga, cor minga
inscì fort: gh’hoo paura!

La banchetta l’è pienna; e nun, poer gent,
che vemm a lavorà
inscì lontan de cà,
vardom el finestroeu. E dìsom nient.

TRADUZIONE:  Treno di trenta vagoni, che vai, vai per la campagna scura, non correre così forte: ho paura! I sedili son pieni e tutta questa gente che va a lavorare così lontano da casa, guarda il finestrino e non dice niente. Il sedile è duro, è di legno (la panca che c’ è accanto al camino, a casa, non è così dura) Qui nessuno fa segno: guardano il finestrino e non dicono nulla, ma fuori non c’è nulla da vedere: c’è la notte nera come il carbone, solo qualche stazione passa via, corre senza fermarsi: che rumore, che fracasso!(cosa starà facendo la mia Lucia? I bambini saranno a letto, già addormentati. Lei avrà insegnato loro a dire la preghiera…mentre le scarpette cadono in terra, coi piedini nudi….vien voglia di mangiarli -prenderli a morsi – tutte le sere i bambini giocherellano, fanno dannare, i birichini!)

Che notte! Com’è buio! Ma adesso un po’ di luce là in fondo, splendente assomiglia alle scintille della brace nel camino, però non così vivace (Poterle ancora vedere volare dentro la cappa del camino a casa!). Questa luce è fredda come le stelle….ma pensiamo ad altro… Quando il sole scalderà il vagone e le mie ossa, avremo passato il confine e questo pane  morbido ancora croccante, sarà raffermo.

Treno di trenta vagoni che vai, vai per questa campagna scura, non correre, non correre così forte: ho paura! I sedili sono pieni; e noi povera gente, che andiamo a lavorare così lontano da casa, guardiamo il finestrino. E non diciamo niente….

Poesia di primavera.

Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:                                       
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

S. Quasimodo

 

E’ scoppiata la primavera e si rinnova la sua meraviglia. Quasimodo sa però individuare qual è la cosa più sorprendente: vedere il verde incredibile delle gemme appena sbocciate su un tronco che pendeva come  morto sui bordi d’ un fosso (botro). E’ come una promessa di resurrezione…..e il poeta si immedesima in quel verde e nell’ acqua limpida del fosso.