Gennaio 1943 (Davide Bandini)

Il mondo in cui abito, / in cui vivo, / in cui condivido/ è un mondo diverso da  quello / che altri conoscono e vivono.

Gente di tutte le età/ vestita con lo stesso abito / e con una stella gialla/ è chiusa in quartieri fortificati:/ sembra di vivere nella peggiore prigionia.

Non è permesso mangiare, nè bere/ o essere trattati normalmente.

Nel mio mondo ci sono soldati / che urlano, picchiano/ e sparano a gente innocente;/ nel mio mondo facciamo lavori duri.

Invece di sentire risate e allegria/ sento pianti e malinconia.

bambini nei lager

La civiltà di oggi (Davide Bandini)

 

realtà virtualeFino a ieri  c’era gente che passeggiava libera/ e guardava gli uccellini cinguettare; oggi c’è gente che passeggia libera, ma imprigionata in uno schermo.

Fino a ieri c’era gente che si divertiva in società e nel mondo dei libri; / oggi c’è gente che sta in società, ma tramite uno schermo e nel mondo dei social.

Fino a ieri c’era gente che usava bottiglie in vetro;/ oggi c’è gente che usa bottiglie distruttive in plastica.

Fino a ieri c’era gente che si arrangiava e riusciva ad affrontare le difficoltà;/ oggi c’è gente che trova tutto facile con la tecnologia.

Fino a ieri c’era gente che si sentiva libera e allegra, / invece oggi c’è gente che si sente libera, ma in realtà è imprigionata in internet.

Ditemi: il vero mondo e la vera umanità / è quella di oggi o quella di ieri?

 

Poesia: Alla Luna, Giacomo Leopardi (1820)

Le belle poesie, imparate sui banchi di scuola, ci accompagnano per tutta la vita.
luna

 

 

 

 

 

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
 
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, ché travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!

In gioventù, le pene, le sofferenze le angosce sono rese più tollerabili dalla speranza: si pensa sempre che qualcosa dovrà pur cambiare.

 

Poesia: Giaccio da solo nella casa silenziosa. (G. Lorca)

Giaccio da solo nella casa silenziosa,
la lampada è spenta,
e stendo pian piano le mie mani
per afferrare le tue,
e lentamente spingo la mia fervente bocca
verso di te e bacio me fino a stancarmi e ferirmi
– e all’improvviso son sveglio,
ed intorno a me la fredda notte tace,
luccica nella finestra una limpida stella –
o tu, dove sono i tuoi capelli biondi,
dov’è la tua dolce bocca?
Ora bevo in ogni piacere la sofferenza
e veleno in ogni vino;
mai avrei immaginato che fosse tanto amaro
essere solo
essere solo e senza di te!

Quanto può pesare la solitudine nelle lunghe notti insonni!

 

UTE: La poesia di Ungaretti. (prof. E. Galli)

Il professor Galli ha tenuto oggi pomeriggio una lezione molto intensa sulla poesia di Ungaretti.

La conferenza è iniziata con alcuni  essenziali cenni biografici, per ripercorrere le vicende che più di tutte hanno segnato profondamente la vita del poeta e la sua produzione poetica, poi è seguita subito una rapida analisi delle composizioni più significative.

Quelle che oggi vengono più lette e apprezzate, appartengono al periodo in cui Ungaretti scriveva le sue poesie tra un assalto e l’altro nell’orrore delle trincee, teatro della Prima Guerra Mondiale. Fu un ufficiale, il critico letterario Ettore Serra, a comprendere la forza e il valore di quegli scritti e li fece pubblicare.

Appartengono a questa prima raccolta, intitolata “Allegria”. poesie famose come “Veglia”, San Martino del “Carso”, “Soldati”, “Fratelli”, “Commiato” “Mattina”, Pellegrinaggio”.  In queste composizioni  è riscontrabile la grande innovazione portata da Ungaretti nel linguaggio poetico: egli usa non parole auliche o altisonanti, ma solo parole povere, comuni, semplici; non usa punteggiatura, non c’è metrica tradizionale, non ci sono rime. Ma le parole essenziali sono frutto di lunga ricerca interiore e di meditazione e anche gli spazi bianchi assumono un significato; i versi sono brevi, scarni, ma esprimono sentimenti profondi ed emozioni intense.  Qui il poeta svolge fino in fondo la sua “missione”, che è quella di esprimere con la forza della sua sensibilità particolare ciò che la gente “comune” sente nel cuore, ma non riesce ad esprimere pienamente.

A contrasto con questa prima produzione giovanile, il nostro docente ci ha poi proposto la lettura della poesia “L’isola”, che appartiene al periodo tra le due guerre e che si configura come esempio tipico di poesia ermetica. Qui il linguaggio è più ricercato, la sintassi più complessa, l’interpretazione spesso ambigua.

Un momento particolarmente toccante della lezione è giunto al momento della lettura della poesia “La madre”, quando alla suggestiva immagine, evocata dal poeta, di sua madre inginocchiata davanti a Dio per implorare il perdono del figlio, il prof Galli ha ricordato con commozione le parole di sua madre prima di morire: -Ti aspetto in Paradiso!-

Interessante anche le considerazioni finali del professore: le poesie che amiamo di più non sono necessariamente quelle da tutti considerate le più belle, ma sono quelle che ci toccano il cuore, quelle che esprimono emozioni che abbiamo sperimentato direttamente. Ed è bellissimo per un insegnante riuscire a far “sentire” queste emozioni ai propri alunni: sono momenti che ripagano delle fatiche e delle frustrazioni dell’insegnamento.

Grazie professor Galli!

Riporto qui una poesia riascoltata oggi:

LA VEGLIA.

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

E’ proprio quando sentiamo tutta la fragilità del nostro essere umani, quando la morte ci sfiora o incombe su di noi che ritroviamo ciò che più conta, l’amore, e che apprezziamo fino in fondo il dono prezioso della vita.

Rileggendo le ultime righe non ho potuto fare a meno di riandare con la mente a quella bellissima romanza “E lucean le stelle” che Cavaradossi canta prima di essere giustiziato (nell’opera lirica “Tosca”).

 

Poesia: Di lassù (Pascoli) e altro…

allodolaLa lodola perduta nell’aurora
si spazia, e di lassù canta alla villa,
che un fil di fumo qua e là vapora;

di lassù largamente bruni farsi
i solchi mira quella sua pupilla
lontana, e i bianchi bovi a coppie sparsi.

Qualche zolla nel campo umido e nero
luccica al sole, netta come specchio:
fa il villano mannelle in suo pensiero,
e il canto del cuculo ha nell’orecchio.

Non conoscevo questa poesia del Pascoli ispirata dal volo e dal canto dell’allodola, che ha l’abitudine di cominciare a cantare alle prime luci dell’aurora e pare contemplare dall’alto il mondo che si risveglia. Intanto il contadino che sta arando il suo campo sogna già i raccolti che potrà fare nella bella stagione. Questa poesia del Pascoli mi ha fatto ricordare un altro momento bellissimo in cui si parla del canto dell’allodola.

Giulietta e Romeo (nell’opera omonima di Shakespeare) hanno appena romeo e giuliettatrascorso la loro prima notte insieme, dopo il matrimonio segreto, e Romeo sta per lasciare la sua amata sposa: deve fuggire presto dalla città per non essere condannato a morte , ma ….
GiuliettaVuoi andare già via? Ancora è lontano il giorno:
non era l’allodola, era l’usignolo
che trafisse il tuo orecchio timoroso:
canta ogni notte laggiù dal melograno;
credimi, amore, era l’usignolo.
Romeo: Era l’allodola, messaggera dell’alba,
non l’usignolo. Guarda, amore, la luce invidiosa
a strisce orla le nubi che si sciolgono a oriente;
le candele della notte non ardono più e il giorno
in punta di piedi si sporge felice dalle cime
nebbiose dei monti. Devo andare: è la vita,
o restare e morire.

Giulietta: Quel chiarore laggiù
non è la luce del giorno, lo so: è una meteora
che si libera per te dal sole questa notte,
la torcia per farti lume sulla via di Mantova;
dunque rimani ancora, c’è tempo per andare.
Romeo: Mi prendano pure, sarà certo la morte,
ma sono felice se tu vuoi così. E dirò, allora,
che là, quel grigio non è l’occhio del mattino
ma il fioco riverbero della fronte di Cinzia;
che non è l’allodola a battere la volta
del cielo, così alta su noi. Io voglio restare,
non veglio più partire: vieni, o morte,
sarai la benvenuta! Vuole così Giulietta.
Che c’è, anima mia? Parliamo, non è giorno.

Questo momento è sempre così commovente e intenso: anche dopo secoli riesce a parlare al cuore di noi tutti….

Natale …in tempo di COVID.

Il

cielo è

grigio, uniforme.

La montagna è nera

e la  cima è avvolta dalle nuvole.

Si è alzato all’improvviso un vento forte,

che scuote gli alberi e fa sentire la sua voce piena di ira

Mulinelli di foglie corrono per il vialetto.

La casa è buia, silenziosa.

E’ Natale …

in tempo di Covid.

Poesia: Dicembre è sempre stato… (di Lars Gustafsson)

Ciò che rende più pesante il trascorrere dei giorni in questo periodo dell’anno è certamente la mancanza di luce; il buio che incombe su gran parte del giorno induce alla malinconia, porta pensieri tristi. Se è così per tanti di noi che viviamo in queste nostre zone, possiamo ben immaginare quanto diventi oppressiva la fame di luce in chi vive nell’estremo nord del mondo , in cui per mesi non si vede un raggio di sole.

Dicembre è sempre stato il mese
in cui si smetteva di esistere.
Si diventava una parentesi nel buio, o poco più.
Si accendevano lanterne, lampade e candele.
Ma era evidente
che non bastavano
contro il fiume straripante delle tenebre.
È facile capire
un messaggio natalizio
più pagano, più primitivo:
A qualsiasi costo con torce e fiaccole
riavere una luce solare
il cui ritorno non era mai scontato.

La mancanza di luce, l’assedio delle tenebre, il tentativo di vincerle con torce e fiaccole è ciò che ricorda il poeta svedese Gustafsson del suo paese nel mese di dicembre.  La gente smetteva di esistere e si spiegano così gli antichi riti  nei quali con ogni mezzo si cercava di esorcizzare la paura di non rivedere più la luce del sole.dicembre svedese