Una giornata in pellegrinaggio per dare un’impronta alla Quaresima scoprendo le bellezze artistiche della Brianza, retaggio di una religiosità semplice e profonda.
Poesia: Io so che c’è una luce…
Trascrivo qui una bella poesia di Sabrina Giarratana segnalatami dalla mia amica Piera, alla quale va il mio grazie….
Io so che c’è una luce tra le righe. // La cerco dentro i libri, // quando è buio//. La cerco nella carta,// tra le pieghe.// La cerco dentro al blu// di un calamaio// Io so che c’è una luce// del pensiero.// Che tra le falsità mi mostra il vero// M’illumina di senso di speranza// Sta oltre l’apparenza// e l’ignoranza// Mi guida verso il senso// più profondo // Nascosto tra le pagine del mondo. (da Poesie di luce).
UTE: de mulieribus illustribus – dialetto, soggetto e strumento della memoria.
Docente: Alberta Chiesa.
Elisabetta I, detta la regina vergine, ebbe parecchi amanti, ma non volle mai sposarsi per non dipendere mai da un uomo che sarebbe diventato re.
Fu un’abilissima politica e portò il suo paese verso la prosperità che rese possibile la prima rivoluzione industriale inglese. Tale prosperità fu anche la conseguenza del sistematico saccheggiodelle navi spagnole che tornavano cariche di merci preziose dal Nuovo Mondo. Fu una donna molto vanitosa e lanciò la moda di imbiancarsi il viso (doveva coprire le cicatrici del vaiolo)e quella di rasarsi le sopracciglia e i capelli sulla fronte; poneva molta attenzione ai suoi vestiti e manteneva una corte molto costosa. Amava molto il teatro e fu durante il suo regno che Shakespeare rappresentò le sue opere.
Ebbe anche problemi di salute, che lei però mascherò sempre con ostinazione per dare sempre un’immagine di forza e di sicurezza.
E’ stata senz’altro una donna che ha lasciato un’impronta importante nella storia del suo paese. Per approfondire le notizie biografiche cliccare QUI
______________________________________________
docenti : Enrico, Ghioni, Franco Gottardi e Adrana Vasirani
La seconda lezione di oggi verteva sul dialetto e in particolare sulle antiche ricette, in prosa o in poesia, tramandate per via orale da madre a figlia, da suocera a nuora per secoli e ogni famiglia aveva la sua particolare ricetta: quell’ingrediente in più o in meno che la rendeva “diversa”. Sono stati ricordati i piatti della cucina povera che caratterizzava l’alimentazione della popolazione di queste zone fino a non molti decenni fa: polenta, tucc, minestrone, zuppa di cipolle (sopa de scigulen), missoltit, buseca (trippa).
Interessante l’annotazione sul sempre vivo scambio tra dialetti e lingua italiana: anche Tullio De Mauro, recentemente scomparso, sosteneva che la morte dei dialetti può essere fatale anche per la lingua nazionale.
Anche oggi due belle lezioni e un pomeriggio piacevolissimo.
7 marzo : tanti auguri , Vanna!
Nel 50 della sua professione religiosa (5 anni fa) , le sue consorelle di Ban Seng Arun hanno scritto la storia di Madre Giovanna Catellani (che è mia sorella) e io la sintetizzo così:
Tra le sorelle venute in Thailandia, una particolare importanza ha avuto l’opera di madre Giovanna Catellani nel dare impulso alla crescita dell’ordine…..Nata nel 1943 a Rolo (RE) è entrata in monastero nel 1960 , ha emesso la professione religiosa nel 1962 ed è partita per la Thailandia nel 1968. In quel tempo esisteva il solo monastero di Ban Pong (fondato nel 1936) e dopo due mesi le è stato affidato il compito di maestra delle novizie, affiancandole un’interprete. Già 4 anni dopo è partita con dieci suore da Ban Pong per fondare un nuovo monastero a Ban Seng Arun a sud di Bangkok. Dopo dodici anni questa comunità si era talmente ampliata che si è reso necessario pensare alla fondazione di una nuova comunità a Sampran, cui si unì nel 1979 un altro monastero nel nord della Thailandia e così pure nel 1986, nel 1988 e nel 2002 in altre zone del paese.
Nel frattempo le comunità thai hanno ottenuto di costituire una federazione autonoma , che suor Giovanna presiederà a lungo, per lasciare poi la guida della federazione a suore thai….
Il racconto termina con la menzione del lavoro di traduzione in lingua siamese dei testi necessari alla formazione delle religiose e con il ringraziamento affettuoso e riconoscente per la generosità con cui suor Giovanna si è donata alla sua missione e alle consorelle.
E io oggi, nel giorno del suo 74° compleanno unisco al loro “grazie” il mio.
Auguri, Vanna!!!
Wonderlab
Oggi Londra ha mostrato la faccia che tutti le attribuiscono: pioggerellina, vento freddo, grigio ovunque… Forse per questo tutti hanno pensato di rifugiarsi nei musei della città: l’uscita della metropolitana era affollata come se si trattasse di andare a vedere la finale della coppa del mondo di calcio e abbiamo dovuto camminare un bel po’ pigiati tra la folla prima di poter riconquistare l’aria aperta. L’attrazione maggiore era costituita da una esposizione di robot, che dicono sia strabiliante. Avremmo voluto proprio visitare quella esposizione, ma i biglietti erano esauriti, quindi abbiamo ripiegato sull’attiguo “Wonderlab”, dove si possono sperimentare le proprietà dell’aria, dell’acqua , del suono dell’elettricità e del magnetismo. Un’idea molto intelligente: i bambini (e anche gli adulti) possono ripetere direttamente gli esperimenti grazie a macchinari predisposti allo scopo.
Alla fine c’è stato un piccolo spettacolo per mostrare alcuni esperimenti di particolare effetto sull’impiego dell’elettricità.
Chissà se da noi esiste qualcosa di simile …. se non c’è bisognerebbe proprio crearlo: è un’ottima occasione per passare un pomeriggio divertente e istruttivo al tempo stesso e potrebbe creare anche posti di lavoro.
Poesia: Il vento (G. Rodari)
Da questa mattina il vento rumoreggia qui attorno e costringe le nubi a una corsa interminabile nel cielo. Ho visto volare fin sopra i tetti delle case qui sotto qualche sacchetto di plastica abbandonato da qualche mano maleducata… Molti poeti si sono ispirati al vento e tra questi oggi ho scelto Rodari.
Il vento
Arriva il vento. Che pazzerello!
Vedi? E’ sgarbato come un monello.
Strappa il giornale che tieni in mano;
manda i cappelli lontan lontano.
Tu devi correre fino laggiù,
ma il tuo cappello corre di più.
Intanto il vento, con mano lesta,
fa il parrucchiere sulla tua testa;
e se, per caso, apri l’ombrello,
ti spazza via, presto, anche quello.
Ma che puoi farci? Non t’arrabbiare:
è un birichino e vuol giocare!
(Gianni Rodari)
Considerazioni da meteo…
Come Pinocchio…
In questi giorni Samu deve prendere la medicina che dovrebbe guarirlo da un’influenza interminabile e fa molte storie perchè la medicina è cattiva. Assomiglia un po’ a un burattino di casa nostra che tutti certamente ricordiamo……
Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accòrse che era travagliato da un febbrone da non si dire.
Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d’acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente:
— Bevila, e in pochi giorni sarai guarito. —
Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi dimandò con voce di piagnisteo:
— È dolce o amara?
— È amara, ma ti farà bene.
— Se è amara non la voglio.
— Da’ retta a me: bevila.
— A me l’amaro non mi piace.
— Bevila: e quando l’avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca.
— Dov’è la pallina di zucchero?
— Eccola qui — disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.
— Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell’acquaccia amara…
— Me lo prometti?
— Sí… —
La Fata gli dètte la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un àttimo, disse leccandosi i labbri:
— Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!… Mi purgherei tutti i giorni.
— Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d’acqua, che ti renderanno la salute. —
Pinocchio prese di mala voglia il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso: poi se l’accostò alla bocca: poi tornò a ficcarci la punta del naso: finalmente disse:
— È troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere.
— Come fai a dirlo se non l’hai nemmeno assaggiata?
— Me lo figuro! L’ho sentita all’odore. Voglio prima un’altra pallina di zucchero… e poi la beverò! —
Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po’ di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere.
— Cosí non la posso bere! — disse il burattino, facendo mille smorfie.
— Perché?
— Perché mi dà noia quel guanciale che ho laggiú su i piedi. —
La Fata gli levò il guanciale.
— È inutile! Nemmeno cosí la posso bere.
— Che cos’altro ti dà noia?
— Mi dà noia l’uscio di camera, che è mezzo aperto. —
La Fata andò, e chiuse l’uscio di camera.
— Insomma — gridò Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto — quest’acquaccia amara, non la voglio bere, no, no, no!…
— Ragazzo mio, te ne pentirai…
— Non me n’importa…
— La tua malattia è grave…
— Non me n’importa…
— La febbre ti porterà in poche ore all’altro mondo…
— Non me n’importa…
— Non hai paura della morte?
— Nessuna paura!… Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva. —
A questo punto, la porta della camera si spalancò, ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.
— Che cosa volete da me? — gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto.
— Siamo venuti a prenderti — rispose il coniglio piú grosso.
— A prendermi?… Ma io non sono ancora morto!…
— Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito della febbre!…
— O Fata mia, o Fata mia! — cominciò allora a strillare il burattino — datemi subito quel bicchiere… Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, no… non voglio morire. —
E preso il bicchiere con tutte e due le mani, lo votò in un fiato.
— Pazienza! — dissero i conigli. — Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo. — E tiratisi di nuovo la piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti.
Fatto sta che di lí a pochi minuti, Pinocchio saltò giú dal letto, bell’e guarito; perché bisogna sapere che i burattini di legno hanno il privilegio di ammalarsi di rado e di guarire prestissimo.
A ben pensarci Pinocchio è un po’ il ritratto di noi Italiani, che non riusciamo mai a prevenire i nostri guai e ci decidiamo a intervenire solo quando siamo costretti dall’emergenza: così è per l’ambiente, per le misure antisismiche nelle costruzioni, per l’abbattimento del debito pubblico….