Storia di Chico (prima parte)

cucciolo yorkshiere– Ci mancava solo il cane!!! –  Questo fu il mio primo pensiero ( che non mancai di esprimere con un certo vigore e a voce adeguatamente alta visto il mio stato d’animo) quando mi vidi portare in casa dentro una scatola da scarpe un cosino scuro delle dimensioni di un topino di campagna che qualcuno pretendeva di fare passare per un cucciolo di cane.

Era anche stato pagato molto caro e questo mi rendeva anche più ostile nei suoi confronti. Aveva un mese o poco più e stava tutto sul palmo di una mano. Ogni tanto, dopo un momento emozionante per lui, sembrava entrasse in coma e per alcuni minuti eravamo tutti lì attorno per vedere se respirava ancora.

Eravamo in Sicilia e dovevamo rientrare a casa. Mille e trecento chilometri!!! Poteva quel cosino superare tante ore di viaggio? E come avrebbe reagito al cambiamento di clima, di ambiente e alla lontananza dalla madre? I timori erano tanti, ma lui , così piccolo, riuscì a superare ogni difficoltà.

Arrivati a casa, per prima cosa gli comprammo una brandina, ma la più piccola esistente in commercio era sempre troppo grande e troppo alta per lui. Quando Chico  (nome deciso dai miei figli), quando voleva salirci sopra, si metteva seduto di fronte ad essa e tenendosi dritto dritto la fissava immobile fino a che qualcuno non si accorgeva della sua richiesta.

Nonostante fosse così piccolo, alla vista dei gatti che in quel periodo assediavano il nostro giardino, faceva tanto chiasso che quelli trovarono più conveniente andarsene altrove. Gli stessi strepiti faceva anche contro merli , passeri o farfalle che osassero invadere il suo territorio. Era  solo uno yorkshire di taglia media, ma sapeva farsi rispettare.

La domenica andando alla messa….

moda-anni-40-4La Domenica mattina, non facevamo colazione, perchè si doveva rispettare il digiuno dalla mezzanotte per poter fare la Comunione.

Ci vestivamo col vestito buono, quello della festa: io ricordo una gonna blu con bolero dello stesso colore e camicetta bianca. Allora poi ci si metteva il cappellino di paglia (in estate) e ricordo anche una borsetta bianca a secchiello.

Andavamo alla messa delle nove e mezza e ricordo la chiesa piena di bambini. Vengo dall’ Emilia conosciuta per il suo anticlericalismo, ma allora i bambini frequentavano tutti o quasi la parrocchia, forse perchè i genitori di ogni tendenza politica riconoscevano il valore educativo delle attività che vi si svolgevano e forse anche perchè non c’ erano alternative.

A me piacevano molto i canti; ce n’ era uno che, l’ ho scoperto solo molto dopo, riproduceva nel ritornello la stessa melodia dell’ inno tedesco …, forse era una traccia del fatto che il clero aveva simpatizzato con gli occupanti  e prima con gli alleati tedeschi (la guerra era finita da poco)  Certo io allora non mi ponevo certe domande e non ero in grado di fare certe considerazioni.
Finita la messa si usciva in gruppo e si andava all’ oratorio femminile, ma lungo il percorso c’ era la sosta per comprare il panino o il castagnaccio caldo (in inverno) Si assisteva alla lezione di catechismo e poi fuori in cortile a giocare a palla prigioniera, o a divertirsi su alcune giostrine o sull’ altalena .. Verso mezzogiorno si tornavava a casa, ma prima a volte mi fermavo a comprare il Corriere dei Piccoli:  la Tordella, Bibì. Bibò, Bonaventura, Sor Pampurio mi avrebbero fatto compagnia durante la settimana.

Anche i ragazzi più grandi attendevano la domenica. Per mia sorella  era l’ occasione  per  indossare l’ abito nuovo, le scarpe buone  e amche per mettere un filo di trucco (molto leggero però, altrimenti chi li sentiva papà e mamma!!)

I miei fratelli si mettevano in ghingheri e si spalmavano la brillantina sui capelli, guardandosi a lungo nello specchietto che era appeso vicino all’uscio della cucina… Tutti cercavano di dare il meglio di sè, perchè dopo la messa i giovani e le ragazze passeggiavano in piazza e sotto i portici . Era l’ unico giorno in cui ci si incontrava in paese ed era per tutti un’ occasione per far festa. e per lanciare occhiate eloquenti a chi suscitava maggior interesse.e simpatia.

 

Compleanno indimenticabile!!!

Ecco un’altra furbata all’italiana!!!! Credo che la foto dello scontrino parli da sola.  Chi ha fatto questa colazione “principesca” è mia figlia con la sua famiglia .

Intendevano festeggiare il compleanno di mio genero, ma non so quanto mio genero sia in vena ora di festeggiare dopo aver pagato il conto. Certo è che il BAR DUOMO è riuscito a rendere indimenticabile questo  suo compleanno!!!

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Paolo e la musica.

30 anni fa.

Io : – Cosa ne diresti, Paolo, di iscriverti alla scuola media nella sezione musicale? Hai sempre avuto una certa propensione e sensibilità  per la musica ……-

Risposta: – Assolutamente no, mamma, c’è troppo da studiare . Ho visto quanto ha dovuto sgobbare mia sorella Giovanna .-

8 anni dopo …..

Coi primi soldi guadagnati in estate, Paolo si è comprato la prima chitarra, cui ne sono seguite altre , e poi ha preso lezioni di musica private per imparare a suonare il basso….

La storia di mio figlio Paolo con la musica ha poi avuto una svolta ulteriore tre anni fa, quando si svegliò di notte con in testa una canzone che aveva appena sognato e si mise a scriverla …..a quella ne seguirono altre che ha registrato con l’aiuto di amici e con mezzi di fortuna. Ora tenta campagna di crowdfundinguna campagna di crowdfunding, per tentare di far conoscere meglio i frutti del lavoro suo e dei suoi amici. Il proverbio dice: tentar non nuoce…..

Se una morale si può trarre da questa storia è che in tutte le scuole dell’obbligo si dovrebbe inserire lo studio della musica, come disciplina integrante dell’educazione , perché quando si è piccoli si rischia di fare scelte distorte per i motivi più futili.

 

 

A mia madre.

Prosegue il recupero di post da ELDAS. (festa della mamma 2010)

Nel giorno della festa della mamma, mio figlio mi ha portato una rosa. Mi ha fatto molto piacere. Vorrei anch’ io poter offrire una rosa a mia madre, ma non è possibile. Per questo le dedico un pensiero:

Il treno mi portava a rivederti per l’ uiltima volta.

Pensavo alle sofferenze

che alla fine avevano segnato

il tuo volto e il tuo corpo.

e l’ angoscia si scioglieva in un brivido freddo.

Poi ti ho rivisto : eri bella e serena

come da tempo non eri più.

La morte non ti aveva sorpresa;

l’ avevi attesa, invocata e infine abbracciata.

Mi manca la tua voce che chiamava il mio nome

con la dolcezza severa che era solo tua.

Perchè non sopporto i mandarini.

Riporto da Eldas.

Credo di appartenere all’ ultima sfortunata generazione che ha conosciuto l’ incubo invernale della “cura” dell’ olio di fegato di merluzzo.

Al mattino, quando  tii alzavi , appena uscita dalle coperte, ti dovevi confrontare con il freddo  di una stanza dai vetri istoriati dal gelo e sapevi che, oltretutto, quei  primi brividi non erano che un pallido assaggio di quelli che avresti presto sentito fin nelle ossa andando a scuola a piedi. Il tuo più grande desiderio perciò era di scendere in cucina , già riscaldata dalla stufa a legna, e di gustarti la colazione già pronta..

Ma il tuo entusiasmo veniva smorzato da una consapevolezza agghiacciante: prima della tua agognata  tazza di latte bollente e prima dell’ uovo à la coque  ti toccava  inesorabilmente di inghiottire una cucchiaiata di nauseabondo olio di fegato di merluzzo…. Quali proprietà avesse io non lo ricordo, ma penso servisse più che altro a tranquillizzare genitori e medici, consapevoli delle carenze presentate dall’ alimentazione di allora. Se, infatti, i suoi benefici fossero stati reali, credo che il suo uso non sarebbe scomparso  improvvisamente, come poi avvenne.

Già quando la mamma apriva la boccetta dell’ olio ne usciva un odore stomachevole che ti predisponeva il palato  all’ incombente trauma gustativo, poi vedevi con angoscia quel liquido viscoso riempire il grosso cucchiaio; a questo punto chiedevi alla mamma se avesse già preparato  il  provvidenziale spicchio di  mandarino . Sapevi che era inutile ribellarsi : era una tortura a cui tutti i bambini dovevano sottoporsi , lo sapevi benissimo… nessuno poteva sfuggire a quel destino.

Allora chiudevi gli occhi, aprivi la bocca e cercavi di inghiottire più in fretta che potevi per poi  ingozzarti  con qualche spicchio di mandarino che doveva cancellare dalle tue papille gustative ogni traccia del delitto.

Che sia  per questo che non sopporto i mandarini? Forse mi ricordano quell’ incubo mattutino.

Era d’estate….tanto tempo fa…

Riporto da Eldas (la piattaforma “il cannocchiale” è sempre meno accessibile , perciò tento di recuperare i post cui tengo di più).
Avevamo finito di pranzare. Io avevo aiutato a sparecchiare, ad asciugare le posate e a pulire i fornelli . Mia madre continuava a riordinare la cucina, mio padre era sulla poltrona pronto per schiacciare un pisolino; gli altri erano già usciti per andare al lavoro. Io andai al piano di sopra , feci scendere la scaletta retrattile e salii in soffitta: mi piaceva andare a frugare tra vecchi libri e oggetti non più in uso. Lassù faceva un gran caldo, allora aprii la finestrella di un abbaino, che dava sul tetto, nella speranza di far entrare un filo d’ aria, ma non era così, anzi le tegole infuocate rendevano l’ aria irrespirabile.
Quel giorno mi azzardai a uscire dall’ abbaino e a sedermi sul suo piccolo davanzale: il sole a picco infuocava la pianura e cancellava le ombre, le strade deserte erano inondate da una luce violenta , i prati attorno (c’era lì vicino il campo da calcio) erano rinsecchiti e sugli alberi non si muoveva una foglia. Si sentiva solo il frinire incessante e monotono delle cicale, tutti gli altri animali cercavano scampo al gran caldo dormendo. Da quell’ insolito punto di osservazione il paese, nella sua immobilità, sembrava una cartolina tridimensionale , ma io conoscevo chi abitava dietro quei muri, sotto quei tetti….e di tanto in tanto arrivava una voce che io riconoscevo bene. In quella solitudine lasciai briglie sciolte alla mia fantasia di bambina (avevo circa 11 0 12 anni) e immaginai storie fantastiche in cui io diventavo una lucertola, che si crogiolava al sole. Ho ripetuto quel gioco altre volte, ma nessuno lo ha mai saputo, altrimenti chissà quali strepiti avrei sentito.
Quando il caldo diventava insopportabile, scendevo dalla soffitta e mi ritrovavo nella penombra della zona notte, in cui le finestre rimanevano accuratamente chiuse per tutto il giorno e venivano aperte solo dopo il tramonto. Al piano terra la temperatura era più sopportabile, ma in assenza di condizionatori e ventilatori (ricordo che da piccola si vedevano i ventilatori solo quando si andava a recitare il rosario nelle veglie funebri, accanto al cadavere del poveretto che aveva avuto la sventura di morire in quei giorni soffocanti), si sudava anche stando fermi e si era tentati di stare a braccia sollevate, proprio come facevano le galline che tenevano le ali e il becco aperti.
Nella mia infanzia abitavo in una casa senza acqua corrente e allora c’ era sempre a disposizione un secchio d’ acqua, attinta dal pozzo, con il mestolo a portata di mano a disposizione di tutti per alleviare l’ arsura. Non avevamo allora il frigorifero e tutto il cibo andava consumato in giornata. Ricordo le cene a base di pane e cocomero, lasciato per ore al fresco nel pozzo dentro al secchio o nel lavandino pieno d’ acqua. Al mattino le donne del cortile riempivano con acqua dei mastelli che lasciavano al sole tutto il giorno, così, la sera, quando gli uomini tornavano dal lavoro potevano trovare acqua tiepida per le loro abluzioni all’ aria aperta. In quei momenti c’ era chi chiamava in aiuto i figli per cacciare le zanzare sempre in agguato dopo il tramonto. Ogni tanto allora sentivi lo schiocco di una sberla e una voce infantile esultante che gridava :- Presa!!!
Già, le zanzare!!!! Erano un vero tormento e la sera non potevi accendere la luce se le finestre erano aperte…. A questo proposito ricordo un episodio del tutto particolare. Quell’ estate (io ero sposata da anni e vivevo in Brianza) ci eravamo trasferiti dai miei nella bassa reggiana, perché mio marito, siciliano, aveva avuto l’ assegnazione provvisoria di un ufficio in quella zona. Mio marito ha avuto via via vari hobby e in quel momento si dilettava di pittura ad olio. Così una sera, si ritirò nella stanzetta al piano superiore in cui aveva sistemato le sue attrezzature e , poiché faceva molto caldo, pensò bene di spalancare la porta finestra. Io ero al piano terra con tutti gli altri a guardare la tivù con le finestre rigorosamente chiuse. A un certo punto alzando per caso gli occhi vidi che il soffitto della stanza non era più bianco, ma grigio, anzi quasi nero e subito non capii, poi mi bastarono pochi secondi per realizzare quanto stava accadendo e mi precipitai al piano di sopra. Lì vidi mio marito intento a dipingere , incurante della fitta nube di zanzare che lo avvolgeva e che aveva riempito quella stanza e la casa intera. Non si era nemmeno accorto che molte zanzare erano rimaste impastate sulla tela insieme ai colori.
Lascio immaginare la litania di imprecazioni contro quel maldestro genero, che tra l’ altro aveva anche  il torto di essere forestiero.

Bolle di sapone fai da te.

Ai tempi  in cui ero bimba io, la plastica e l’ industria non  erano  ancora entrate nel mondo delle bolle di sapone e non potevi comprarle al negozio in paese. Te le dovevi preparare con un po’ di pazienza: quando il sapone del bucato era diventato così sottile che non poteva più essere utilizzato, io ne prendevo alcune scaglie e le mettevo in un barattolo con un po’ d’acqua, mescolavo a lungo con un bastoncino e poi lasciavo riposare la soluzione in un posticino tranquillo, dove nessuno poteva urtare il contenitore.
Dopo qualche ora, o il mattino seguente, quando il sapone si era ormai sciolto, io andavo a cogliere il fiore del tarassaco (o dente di leone) e il suo stelo cavo  diventava la mia cannuccia.
All’ inizio ne sentivo in bocca il sapore amarognolo che poi a poco a poco svaniva.

A questo punto l’attrezzatura era al completo e non mi restava che trovare il posto migliore per incominciare il gioco. Di solito cercavo un luogo  elevato perchè le bolle avessero modo di volteggiare più a lungo prima di toccare terra, così il posto ideale era sul ballatoio al primo piano dove si apriva una finestra . Lì c’ era una vecchissima cassapanca. Io mi ci sedevo sopra, soffiavo le bolle fuori dalla finestra ed esse cominciavano a volare tremolando verso il basso finchè scoppiavano all’ improvviso. Erano così belle, così colorate, così leggere, così delicate.
Ed era bello anche soffiare dentro al barattolo: le bolle crescevano, crescevano fino a debordare dal contenitore e la luce si rifletteva su di esse in mille modi diversi.
Quando mi stancavo, riponevo il barattolo nel solito posticino tranquillo: l’ indomani avrei potuto giocare di nuovo.