Perchè non sopporto i mandarini.

Riporto da Eldas.

Credo di appartenere all’ ultima sfortunata generazione che ha conosciuto l’ incubo invernale della “cura” dell’ olio di fegato di merluzzo.

Al mattino, quando  tii alzavi , appena uscita dalle coperte, ti dovevi confrontare con il freddo  di una stanza dai vetri istoriati dal gelo e sapevi che, oltretutto, quei  primi brividi non erano che un pallido assaggio di quelli che avresti presto sentito fin nelle ossa andando a scuola a piedi. Il tuo più grande desiderio perciò era di scendere in cucina , già riscaldata dalla stufa a legna, e di gustarti la colazione già pronta..

Ma il tuo entusiasmo veniva smorzato da una consapevolezza agghiacciante: prima della tua agognata  tazza di latte bollente e prima dell’ uovo à la coque  ti toccava  inesorabilmente di inghiottire una cucchiaiata di nauseabondo olio di fegato di merluzzo…. Quali proprietà avesse io non lo ricordo, ma penso servisse più che altro a tranquillizzare genitori e medici, consapevoli delle carenze presentate dall’ alimentazione di allora. Se, infatti, i suoi benefici fossero stati reali, credo che il suo uso non sarebbe scomparso  improvvisamente, come poi avvenne.

Già quando la mamma apriva la boccetta dell’ olio ne usciva un odore stomachevole che ti predisponeva il palato  all’ incombente trauma gustativo, poi vedevi con angoscia quel liquido viscoso riempire il grosso cucchiaio; a questo punto chiedevi alla mamma se avesse già preparato  il  provvidenziale spicchio di  mandarino . Sapevi che era inutile ribellarsi : era una tortura a cui tutti i bambini dovevano sottoporsi , lo sapevi benissimo… nessuno poteva sfuggire a quel destino.

Allora chiudevi gli occhi, aprivi la bocca e cercavi di inghiottire più in fretta che potevi per poi  ingozzarti  con qualche spicchio di mandarino che doveva cancellare dalle tue papille gustative ogni traccia del delitto.

Che sia  per questo che non sopporto i mandarini? Forse mi ricordano quell’ incubo mattutino.

Era d’estate….tanto tempo fa…

Riporto da Eldas (la piattaforma “il cannocchiale” è sempre meno accessibile , perciò tento di recuperare i post cui tengo di più).
Avevamo finito di pranzare. Io avevo aiutato a sparecchiare, ad asciugare le posate e a pulire i fornelli . Mia madre continuava a riordinare la cucina, mio padre era sulla poltrona pronto per schiacciare un pisolino; gli altri erano già usciti per andare al lavoro. Io andai al piano di sopra , feci scendere la scaletta retrattile e salii in soffitta: mi piaceva andare a frugare tra vecchi libri e oggetti non più in uso. Lassù faceva un gran caldo, allora aprii la finestrella di un abbaino, che dava sul tetto, nella speranza di far entrare un filo d’ aria, ma non era così, anzi le tegole infuocate rendevano l’ aria irrespirabile.
Quel giorno mi azzardai a uscire dall’ abbaino e a sedermi sul suo piccolo davanzale: il sole a picco infuocava la pianura e cancellava le ombre, le strade deserte erano inondate da una luce violenta , i prati attorno (c’era lì vicino il campo da calcio) erano rinsecchiti e sugli alberi non si muoveva una foglia. Si sentiva solo il frinire incessante e monotono delle cicale, tutti gli altri animali cercavano scampo al gran caldo dormendo. Da quell’ insolito punto di osservazione il paese, nella sua immobilità, sembrava una cartolina tridimensionale , ma io conoscevo chi abitava dietro quei muri, sotto quei tetti….e di tanto in tanto arrivava una voce che io riconoscevo bene. In quella solitudine lasciai briglie sciolte alla mia fantasia di bambina (avevo circa 11 0 12 anni) e immaginai storie fantastiche in cui io diventavo una lucertola, che si crogiolava al sole. Ho ripetuto quel gioco altre volte, ma nessuno lo ha mai saputo, altrimenti chissà quali strepiti avrei sentito.
Quando il caldo diventava insopportabile, scendevo dalla soffitta e mi ritrovavo nella penombra della zona notte, in cui le finestre rimanevano accuratamente chiuse per tutto il giorno e venivano aperte solo dopo il tramonto. Al piano terra la temperatura era più sopportabile, ma in assenza di condizionatori e ventilatori (ricordo che da piccola si vedevano i ventilatori solo quando si andava a recitare il rosario nelle veglie funebri, accanto al cadavere del poveretto che aveva avuto la sventura di morire in quei giorni soffocanti), si sudava anche stando fermi e si era tentati di stare a braccia sollevate, proprio come facevano le galline che tenevano le ali e il becco aperti.
Nella mia infanzia abitavo in una casa senza acqua corrente e allora c’ era sempre a disposizione un secchio d’ acqua, attinta dal pozzo, con il mestolo a portata di mano a disposizione di tutti per alleviare l’ arsura. Non avevamo allora il frigorifero e tutto il cibo andava consumato in giornata. Ricordo le cene a base di pane e cocomero, lasciato per ore al fresco nel pozzo dentro al secchio o nel lavandino pieno d’ acqua. Al mattino le donne del cortile riempivano con acqua dei mastelli che lasciavano al sole tutto il giorno, così, la sera, quando gli uomini tornavano dal lavoro potevano trovare acqua tiepida per le loro abluzioni all’ aria aperta. In quei momenti c’ era chi chiamava in aiuto i figli per cacciare le zanzare sempre in agguato dopo il tramonto. Ogni tanto allora sentivi lo schiocco di una sberla e una voce infantile esultante che gridava :- Presa!!!
Già, le zanzare!!!! Erano un vero tormento e la sera non potevi accendere la luce se le finestre erano aperte…. A questo proposito ricordo un episodio del tutto particolare. Quell’ estate (io ero sposata da anni e vivevo in Brianza) ci eravamo trasferiti dai miei nella bassa reggiana, perché mio marito, siciliano, aveva avuto l’ assegnazione provvisoria di un ufficio in quella zona. Mio marito ha avuto via via vari hobby e in quel momento si dilettava di pittura ad olio. Così una sera, si ritirò nella stanzetta al piano superiore in cui aveva sistemato le sue attrezzature e , poiché faceva molto caldo, pensò bene di spalancare la porta finestra. Io ero al piano terra con tutti gli altri a guardare la tivù con le finestre rigorosamente chiuse. A un certo punto alzando per caso gli occhi vidi che il soffitto della stanza non era più bianco, ma grigio, anzi quasi nero e subito non capii, poi mi bastarono pochi secondi per realizzare quanto stava accadendo e mi precipitai al piano di sopra. Lì vidi mio marito intento a dipingere , incurante della fitta nube di zanzare che lo avvolgeva e che aveva riempito quella stanza e la casa intera. Non si era nemmeno accorto che molte zanzare erano rimaste impastate sulla tela insieme ai colori.
Lascio immaginare la litania di imprecazioni contro quel maldestro genero, che tra l’ altro aveva anche  il torto di essere forestiero.

AUGURI!!

Oggi mia sorella Vanna, compie  gli anni. E’ in Thailandia da ben 48 anni e là ha speso la  sua vita e tutte le sue energie nel compimento della missione che ai è scelta quando era ancora una giovinetta.

So di farle cosa gradita regalandole la foto di chi ci ha lasciato da poco tempo e che ricorderemo sempre.

Auguri!!!!

Silvana e Vincenzo foto

5 Marzo ’72

Man mano che si avvicinava la fine di quella mia seconda gravidanza, cresceva in me una determinazione: sarei andata all’ospedale solo per partorire , non avrei rivissuto in solitudine le pene del travaglio. Il ricordo del primo parto era ben vivo nella mia mente…..

Mancava ancora una decina di giorni al termine previsto e quella domenica mattina mi ero svegliata con un po’ di malessere, ma non ci avevo fatto caso;  nel pomeriggio mio marito  disse che stava andando un po’ al bar e allora mi feci accompagnare da mia suocera: non volevo stare da sola in casa con la mia prima bambina di appena 16 mesi.

Passai il pomeriggio sferruzzando e chiacchierando, ma ogni tanto avvertivo qualche doloretto: – Non sono certo i dolori del parto – mi dicevo – ci vuole ben altro….lo ricordo bene….

Si arrivò così all’imbrunire  e mia suocera a un certo punto, guardandomi in faccia,  mi disse che secondo  lei era venuto il  momento di andare all’ ospedale. Lasciai lì la bambina, con mio marito passai da casa a prendere la valigia che avevo preparato da tempo e andammo all’ospedale.

Alle  20.35 ero al Pronto Soccorso e alle 21 era nata Giovanna: ero così felice che tutto fosse andato nel migliore dei modi e la bambina era così bella….

Via Villabianca, n. 5

Riporto qui questo post scritto nel settembre 2014 su ELDAS (è sempre più difficile accedere ai blog del cannocchiale, quindi riporto qui i post cui tengo di più).

Ieri , dopo aver accompagnato Davide alla lezione di nuoto, sulla strada del ritorno ho fatto una piccola deviazione per ripercorrere la via Villabianca, dove ho vissuto fino all’ età di 11 anni.

Nel primo tratto nulla è cambiato tranne l’ aspetto esterno delle case, che sono state tutte più o meno ristrutturate.
Là dove la strada svolta a destra c’ è ancora il casale dove sono nata. Ora la facciata è tutta rinnovata; c’ è un cancello davanti all’ ingresso del cortile e su di esso c’ è un cartello con la scritta “VENDESI”. Ho potuto solo dare una rapida occhiata al cortile dove, nella bella stagione, mia madre disponeva il mastello del bucato, stendeva i panni e io saltavo con la corda o giocavo a palla… e c’ è ancora il rustico dove tenevamo i conigli, le galline e il maiale
La cosa strana è che tutto sembrava così piccolo, sia la strada ,ora asfaltata, che  le case dei vicini di un tempo  e  tutto pareva uscire dalle pagine di un vecchio libro rimasto chiuso per tanti anni.
Mi ha fatto piacere  ritrovare l’ atmosfera di quieta serenità che ricordavo.

Tanti auguri, Ilva!!!

Oggi è il compleanno della mia sorella maggiore, a cui devo tanta gratitudine per aver spesso badato a me quando ero piccola e per essere sempre stata un esempio di coerenza e forza morale anche nei momenti più dolorosi. Per accompagnare i miei migliori auguri per tanti e tanti anni futuri di salute e serenità, pubblico qui l’ ultima foto che ci ritrae tutti uniti: noi cinque fratelli con i nostri genitori.

Papà aveva insistito a lungo perchè si facesse questa foto in occasione della venuta di suor Giovanna dalla Thailandia e credo abbia avuto proprio ragione….

Auguri, Ilva! Un abbraccio affettuosissimo !

Il sapone fatto in casa….

Ho trovato su internet la ricetta per fare il sapone in casa: mi pare laboriosa e forse non così conveniente visto che oggi si può disporre di prodotti buoni ed anche  ecologici a prezzi convenienti.

C’era però un tempo in cui comprare il sapone poteva essere una spesa non compatibile coi magri bilanci familiari e io ricordo quando mia madre , poco dopo la fine della seconda guerra mondiale fece il sapone in cortile.

Ricordo che aveva conservato in un recipiente appeso in un ripostiglio il grasso di animali che aveva cucinato: maiale, coniglio, galline…ecc. Ricordo anche l’ odore assai disgustoso di quel recipiente. Poi un giorno di bel tempo si mise all’ opera per fare il sapone e certo la procedura sarà stata come quella riportata QUI, ma io non sono in grado di ricordare.

Alla fine nel fondo di un mastello di legno si poteva vedere una poltiglia di un colore tra il giallo scuro e il marrone. Quando fu abbastanza solida, mia madre la incise con un coltello per formare i vari pezzi di sapone, che però dovevano ancora stagionare.

Quel sapone non odorava certo di lavanda, ma era prezioso per poter fare il bucato, in un momento in cui i detersivi non erano ancora così diffusi e così a buon mercato come oggi.sapone

Diventare nonna.

La gravidanza era stata difficile, ma ormai volgeva al termine.Le preoccupazioni dei mesi precedenti per i vari disturbi, avevano lasciato il posto ai timori per il momento che si stava avvicinando: mia figlia era lontana da me e ci tenevamo in contatto con frequentissime telefonate.

Una sera, verso le 11 l’ annuncio:- Stiamo andando in ospedale!- . Non so quante cose mi sono passate per la testa in quel momento!  Seguivo col pensiero le fasi di ciò che stava accadendo, ma quando ci si sente così lontani e impotenti a recare aiuto, viene spontaneo pregare. Il tempo passava lentissimo, era inutile telefonare: gli apparecchi vanno spenti all’interno degli ospedali.

A un certo punto mi sono messa a fare dei solitari con le carte, per tenere le mani impegnate …I timori che qualcosa di imprevisto potesse capitare si affacciavano in modo molesto, ma cercavo di allontanarli subito… Finalmente squillò il telefono… era Michele che con voce commossa comunicava che tutto era andato bene, che la piccola Elisa era bellissima e che lei e la sua mamma stavano bene. E continuava a ripetere:-E’ bella, è molto bella…-

Tutta la tensione si sciolse e potei andare a riposare. Quando la vidi per la prima volta, Elisa era  veramente perfetta e e sebbene fosse molto tempo che non prendevo in braccio un neonato, fu così naturale occuparsi di lei, coccolarla e appoggiare le mie guance alle sue così lisce e morbide …. Sentivo in quel momento una strana sensazione: tutta la mia vita assumeva ora un significato  nuovo: non era più solo la somma di vicende più o meno positive, di sacrifici, di lavoro, di preoccupazioni…… era il presupposto perchè lei potesse nascere così come mi appariva: un miracolo!