Ute: Il bestiario impossibile di Toti Scialoja – Il clavicembalo col piano e forte

Antonio (detto Toti) Scialoja è nato a Roma nel 1914 e, dopo essersi dedicato agli studi di giurisprudenza, sente di essere più attratto dall’arte che dal diritto. Nei salotti romani conosce gli artisti più noti del suo tempo, ai quali dedica una poesia costruita sui loro nomi, e si cimenta nella pittura dipingendo nature morte, ottenendo gli elogi di pittori come Gattuso e Brandi.

Si dedica anche alla scenografia di opere teatrali, ma la guerra e la censura pongono termine a questa sua attività e Toti si unisce ai partigiani.

Alla fine della guerra si dedica alla poesia ispirandosi ai favolisti antichi (Fedro), ma le sue brevissime favole in rima non hanno la pretesa di insegnare nulla, sono spesso giochi di parole ricchi di assonanze e allitterazioni, che suscitano un sorriso.

Negli anni ’70 del novecento si dedica nuovamente alla pittura dopo aver studiato gli artisti statunitensi; insegna poi all’Accademia d’Arte Romana basandosi non sulla teoria, ma sulla pratica della pittura.

Il prof Creuso non si smentisce mai e riesce sempre a stupirci proponendo argomenti molto originali e insoliti; questa volta inoltre si è fatto aiutare nella lettura delle poesie dalla bravissima Mita Bonzoni, che ha saputo interpretare con garbo e con estrema efficacia i versi dello Scialoja, di cui copio e incollo qui sotto qualche esempio:

«Una zanzara di Zanzibar / andava a zonzo, entrò in un bar, / “Zuzzerellona!” le disse un tal / “Mastica zenzero se hai mal di mar».

«Questa sarta tartaruga / fa modelli in cartasuga, / sotto gli occhi ha qualche ruga / con due foglie di lattuga / se le bagna, se le asciuga, / ma non sogna che / la fuga».

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IL CLAVICEMBALO COL PIANO E IL FORTE: storia di uno strumento rivoluzionario- Noi dell’UTE di Erba conosciamo il M°. Scaioli da molto tempo come valente pianista che accompagna le lezioni-concerto dei nostri amatissimi docenti Maria Rosaria Cannatà e Vincenzo Petrucci; oggi però lo abbiamo conosciuto nella veste di relatore e docente. Infatti ci ha accompagnato attraverso il tempo per ricostruire la storia del pianoforte moderno.

Gli antenati di questo strumento sono tantissimi e il primo di essi, il salterio, risale addirittura a 8 secoli prima di Cristo. Era uno strumento che veniva suonato pizzicando le sue corde con le dita o percuotendole con un “martelletto”. Passarono molti secoli e nel XV secolo fu inventata la spinetta che era provvista di una tastiera attraverso la quale veniva azionata la penna che pizzicava le corde. Molto simile era anche il virginale (nato in Inghilterra) del secolo successivo, il quale però era inserito in un mobile di legno di elegante e raffinata fattura. Tra il 1600 e il 1700 si diffonde il clavicembalo, strumento molto usato nella musica barocca simile nella forma a un moderno pianoforte a coda, ma non consentiva di variare l’intensità dei suoni. Ecco perciò che fi costruito il clavicordo, le cui corde venivano percosse da martelletti sensibili al tocco più o meno intenso del musicista. Era lo strumento preferito da Bach, ma era molto piccolo.

Nel 1702 Cristofori, un costruttore italiano di clavicembali, rivoluzionò gli strumenti a tastiera, ideando il clavicembalo col piano e il forte, ma non trasse benefici dalla sua invenzione, che fu, invece, sfruttata in Germania.

Il fortepiano, lo strumento di Mozart, Beethoven, Haydn), in voga soprattutto nel periodo napoleonico, era fatto di solo legno.

Il pianoforte moderno ha 88 tasti, di cui 52 bianchi e 36 neri; alla tastiera sono stati aggiunti tre pedali che prolungano o ammorbidiscono il suono; le corde più lunghe e spesse producono i suoni più gravi; i suoni medi vengono prodotte da due corde più sottili, mentre i suoni più alti vengono prodotti da tre corde corte.

Il M°. Scaioli ha intervallato le sue spiegazioni con l’esecuzione di brani di Mozart, Haydn, Beethoven, che hanno incantato i presenti. Quanti applausi dopo ogni brano!!

E’ stato un pomeriggio veramente delizioso.

UTE: La politica coloniale – Suono, silenzio, vita

Il prof. Emilio Galli ci sta proponendo un ciclo di lezioni che riguardano i rapporti politici dell’Italia con l’Africa, con una breve deviazione nella letteratura.

Oggi ci ha parlato delle guerre coloniali volute dal regime fascista per occupare la Libia, operazione militare che si concluse nel 1931 con la conseguente impiccagione del capo dei ribelli Omar Al Mukhtar. Iniziò in seguito una politica di occupazione basata sulla costruzione di villaggi abitati da coloni italiani.

Nel 1934, dopo aver instaurato buoni rapporti con Francia e Inghilterra, Mussolini si preparava ad attaccare l’Etiopia, che aveva un glorioso secolare passato di monarchia indipendente e poteva vantare una buona organizzazione amministrativa, e un esercito regolare di tutto rispetto e un abile sovrano (il Negus Hailé Selassié). Nel mese di dicembre ordinò di procedere all’attacco. Le forze militari italiane erano molto più numerose e meglio armate rispetto all’esercito etiope, ciononostante, dopo i primi successi, le conquiste si arenarono e, per sbloccare la situazione Mussolini sostituì il generale De Bono con Badoglio che fu autorizzato ad usare gas soffocanti, vescicanti, tossici anche sui villaggi abitati da civili e furono compiute atrocità e massacri a lungo taciuti. Il 5 maggio 1936 Badoglio entrò ad Addis Abeba, mentre il Negus fuggiva.

Allo scoppio della II Guerra Mondiale, le truppe italiane in Libia attaccarono l’Egitto, ma con scarso successo fino a quando arrivò Rommel; nel 1942 però le truppe italiane e quelle di Rommel furono sconfitte nella battaglia di El Alamein e nel 1943 la Libia non fu più colonia italiana.

Alla fine della guerra, la Repubblica Italiana ripudiò le guerre coloniali e diede il via a un’azione di propaganda che dipingeva un quadro edulcorato di quel periodo storico sotto lo slogan “italiani, brava gente” , idea che solo negli ultimi tempi gli storici hanno confutato portando alla luce le atrocità commesse dai soldati italiani in terra d’Africa.

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SUONO, SILENZIO, VITA – Oggi una variazione di programma ci ha consentito di assistere a una lezione tanto insolita quanto inaspettata. Il prof. Marco Colombo ci ha innanzitutto spiegato la differenza tra suono, che produce una sensazione piacevole, e rumore (che produce una sensazione sgradevole e fastidiosa). E’ seguita la descrizione delle caratteristiche dei due fenomeni e quindi si è parlato di silenzio, inteso non solo come assenza di suoni e rumori, ma come silenzio consapevole che può avere valenza terapeutica. La consapevolezza è lo stato mentale vigile che consente di “osservare” le nostre esperienze nel presente, momento per momento: vivere rievocando il passato o anticipando il futuro può portare solo angoscia.

E’ seguito un momento abbastanza prolungato di “pratica respiratoria”: ad occhi chiusi e nel silenzio più assoluto i presenti sono stati invitati a sperimentare un metodo di respirazione corretta, tramite il diaframma.

Davvero una lezione insolita, ma interessante.

Il nostro “QUADERNO”

Molti cittadini erbesi conosceranno questa elegante signora vestita coi colori del Natale, ma per chi non la conoscesse eccomi qui per colmare questa lacuna: si tratta della sig.ra Luigia, la decana dell’UTE.

Cosa sta facendo in questa foto? Sta sfogliando il volumetto intitolato “QUADERNO” appena uscito dalla tipografia. Certamente sta leggendo l’articolo in cui lei stessa ha raccontato la sua vita ricca di tante esperienze interessanti e particolari.

Il QUADERNO infatti è la pubblicazione che raccoglie , dipinti, poesie e racconti di soci e docenti per celebrare i trent’anni di vita dell’UTE di Erba; in una sezione sono poi pubblicati i temi vincitori del concorso 2024 “Racconta e scrivi una storia”, scritti da alunni delle scuole medie di Erba.

Il risultato è un piacevole, interessante volumetto che gli autori degli elaborati pubblicati potranno conservare come ricordo o regalare ai propri nipoti che saranno orgogliosi dei loro nonni/scrittori,

E per chi non ha voluto cimentarsi con carta e penna (o tastiera) potrebbe essere un segno tangibile di una realtà vitale e preziosa come l’ Università della Terza Età di Erba.

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Ute: Tibet, storia di uno yogin: Milarepa -Don Lorenzo Milani

Tibet territorio remoto di alta montagna, dove si è affermato il buddismo (detto appunto tibetano o tantrico)

Il buddismo arriva in Tibet dopo mille anni circa dal suo sorgere. Prima c’era una cultura Bon (sciamanica): Il Buddismo viene accolto con entusiasmo dai tibetani.

Uno dei cardini del buddismo è la reincarnazione, ma forse è meglio parlare di rinascita: sono solo le particelle irrisolte della nostra vita che portiamo con noi nelle prossime vite.. I Buddisti non si chiedono da dove viene la nostra vita, ma si prefiggono di perseguire il distacco dalle cose materiali. Bisogna operare per migliorare se stessi e coloro che ci stanno vicino. Se si raggiunge il distacco dalle cose e dalle passioni umane, si può non rinascere e raggiungere il NIRVANA senza dover più tornare in questo mondo in cui bisogna convivere col bene e col male.

Nel buddismo tibetano c’è un capo spirituale: il Lama; l’ultimo vive in India dopo l’invasione cinese.

“Milarepa (1052-1135) è uno dei più celebri santi e maestri spirituali del Tibet, noto per la sua straordinaria trasformazione da un giovane che viveva nel peccato e nell’ignoranza a un grande yogi e illuminato. La sua vita è una testimonianza di pentimento, disciplina e realizzazione spirituale.

Milarepa nacque in una famiglia benestante, ma la sua vita cambiò drammaticamente dopo la morte del padre, quando sua madre e lui furono truffati da un parente. La madre, arrabbiata per la perdita della loro ricchezza, spinse Milarepa a cercare vendetta, e lui, per procurarsi il potere, si rivolse a pratiche magiche. Con l’aiuto di un maestro stregone, Milarepa riuscì a compiere vari atti di vendetta, causando morte e distruzione. Tuttavia, il senso di colpa per le sue azioni malvagie lo tormentava profondamente.

Deciso a cambiare, Milarepa si rivolse al maestro spirituale Marpa, il quale lo sottopose a duri e umilianti test per purificarlo dalle sue azioni passate. Milarepa dovette affrontare sofferenze fisiche e psicologiche, ma alla fine Marpa lo accettò come discepolo. Grazie alla sua ferrea determinazione, Milarepa ottenne la realizzazione spirituale e diventò un grande yogi.

Milarepa è anche famoso per le sue meditazioni in solitudine sulle montagne, dove cantava le sue celebri “canzoni di Milarepa”, che esprimono la sua profonda saggezza. Divenne così una figura di grande rispetto nel Buddhismo tibetano, ispirando generazioni di praticanti con il suo esempio di vita dedita alla purificazione, alla meditazione e alla compassione.

Muore a 84 anni bevendo volontariamente un veleno e dando appuntamento ai suoi discepoli per la sua cremazione. Quando alla pira viene appiccato il fuoco, scendono dal cielo petali di fiori.

Morì a 84 anni bevendo volontariamente un veleno e dando appuntamento ai suoi discepoli per la sua cremazione. Quando alla pira venne appiccato il fuoco, scesero dal cielo petali di fiori.

Sempre molto originali le lezioni del dr. Creuso!!!

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DON MILANI: CONCLUSIONI – Nel 1963 compare su La Nazione la lettera dei cappellani militari che condannano l’obiezione di coscienza, che veniva allora punita col carcere (da ricordare il processo a Gozzini che affermava il suo dovere di non prendere le armi proprio per il suo essere cristiano).

Don Milani, in risposta alla lettera dei cappellani militari, afferma che Gesù non è mai stato dalla parte dei violenti, tanto da lasciarsi uccidere senza nessuna reazione, inoltre critica fortemente, alla luce della Costituzione, gli autori della lettera con un testo che diffonde tramite la stampa nazionale. Solo Rinascita (comunista) dà risalto allo scritto di don Milani, scatenando reazioni violente da più parti e subendo un processo per incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare. Non potendosi recare a Roma per le udienze, scrive una dettagliata memoria difensiva, nella quale partendo dall’obiezione di coscienza sofferma la sua analisi sull’obbedienza: è sempre giusto obbedire alle leggi anche quando sono ingiuste? Non è contrario al servizio militare in sé è contrario alla punizione per chi lo rifiuta.

Ora don Milani è sentito come un personaggio che ha osato sfidare le gerarchie religiose e civili. E’ indubbia la sua dedizione totale ai suoi ragazzi , ma il suo carattere non era certo facile e mal tollerava la pretesa di etichettarlo attribuendogli posizioni politiche che non gli appartenevano.

Nel 1966 viene ricoverato per la sua malattia e il suo arcivescovo gli scrive criticandolo duramente, cosa che lo farà soffrire molto. Muore nel 1967.

Grazie al prof. Cossi per aver messo a fuoco la figura di questo prete un po’ ribelle, ma pieno di amore per il suo prossimo e per la sua Chiesa.

UTE: La stampamte 3D – Morlotti e quel suo dolcissimo paesaggio.

Il dr. Rizzi oggi ci ha illustrato una tecnologia che sa di futuro: la stampante 3D.

E’ una tecnologia per molti ancora sconosciuta, ma la cui scoperta risale alla fine degli anni 80. La stampante è in grado di produrre prototipi a basso costo, modelli di fusione (in oreficeria), attrezzature di produzione e viene utilizzata quando si devono produrre pochi pezzi dello stesso tipo.

E’ una tecnologia che fa risparmiare tempo ed è di facile utilizzo. Ne esistono diversi tipi.

La più piccola, di uso domestico, è grande come un PC e funziona grazie alla fusione di un filo di plastica (venduto a bobine) che la stampante spalma strato su strato secondo un modello che è stato programmato. Può costare circa 200 euro. Tutt’altro discorso è invece quello che riguarda le stampanti per le industrie che hanno prezzi molto più elevati e possono produrre protesi individualizzate (in ortopedia e ortodonzia) e addirittura cartilagini ,tessuti e organi umani (anche se per questi ultimi sono ancora in corso studi ed esperimenti). In edilizia stampanti di grandi dimensioni possono addirittura produrre case e palazzi; anche l’industria aerospaziale ricorre spesso a questa tecnologia per riprodurre parti da inserire nelle astronavi.

E’ certo una tecnologia che può avere sviluppi ora inimmaginabili e che può cambiare il mondo della produzione.

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MORLOTTI E QUEL SUO DOLCISSIMO PAESAGGIO – La prof. Beretta oggi ci ha parlato di un pittore che io non avevo mai sentito nominare, ma che, ho scoperto, è tra i più importanti pittori lombardi del secolo scorso.

Nato nel 1910 a Lecco, si iscrisse all’accademia di Firenze nel 1936, ma ne uscì dopo due anni, perché si sentiva estraneo alla tradizione toscana, così intellettuale e legata ai volumi geometrici; l’arte lombarda invece è da sempre molto legata alla realtà. Morlotti apprezza il realismo di Caravaggio e si sente vicino a Cézanne ea Courbet.

Lasciata l’Accademia partì per Parigi, dove si immerse nell’arte dei grandi pittori contemporanei e non. Due opere lo colpirono più di tutte: “Guernica” di Picasso e “Le bagnanti” di Cézanne. Nel primo di questi quadri scopre un nuovo modo di rappresentare la realtà, che è soprattutto una realtà emotiva anche se quasi surreale per la forma estetica; il secondo quadro, secondo quanto dice lo stesso Morlotti, è stato per lui come un pugno nello stomaco per l’uso delle forme e dei colori.

Fino a questo punto, però , il pittore lecchese non aveva ancora trovato un suo modo personale di esprimersi con la pittura e lo stesso successe anche al suo ritorno a Milano nel 1939. Qui però ebbe modo di incontrare e frequentare tutti gli intellettuali più in vista in quel periodo. Allo scoppio della guerra si trasferì a Mondonico, una piccola frazione di Olgiate Molgora, fatta di poche case immerse nel verde. Nel silenzio e nella quiete di quel luogo, Morlotti trovò l’ispirazione per la sua pittura e cominciò a dipingere i paesaggi che lo circondavano, caratterizzati da colline dolcie ricche di vegetazione. La sua pittura di quel periodo era istintiva, emotiva, ricca di colori.

A questo periodo felice seguì una parentesi parigina, assai meno “produttiva” Poi scoprì Imbersago e vi si trasferì e ritrovò la sua vena artistica, ma non si dedicò più ai paesaggi: il suo interesse si concentrò sui particolari della natura che aveva intorno, come a volerli penetrare; sono di questo periodo i “Paesaggi sull’Adda” dove arriva a un modo di dipingere che si può definire “informale”: non usa pennelli, ma spatole, non dipinge cose, ma macchie di colore. Dai suoi quadri traspare una grande partecipazione emotiva alla natura delle terre lombarde.

Sono grata alla professoressa Beretta per avermi fatto conoscere questo pittore così intimamente legato alla sua terra.

UTE: ‘400, ‘500, ‘600 nel territorio erbese – Tradizioni e folclore natalizio nel milanese e in Brianza.

Grazie alla disponibilità e alla generosità della prof.ssa Alberta Chiesa e del dr. Giorgio Mauri oggi all’UTE è stato possibile ovviare alla forzata assenza della dr.ssa Todaro a cui rivolgiamo i nostri più fervidi auguri.

La prof Chiesa ci ha intrattenuto su un periodo poco conosciuto della storia erbese, quello che va dal ‘400 al ‘600.

Due erano le famiglie più influenti nel nostro territorio: i Parravicini (già nel XII secolo proprietari dei castelli di Casiglio e Pomerio e i Carpani (di origine non nobile e provenienti da Ponte Lambro, erano divenuti tanto ricchi da poter comprare il borgo di Villincino dopo che era stato distrutto nel 1285).

Nell’età delle Signorie, l nostro territorio risentì fortemente delle lotte tra le famiglie dei Torriani e dei Visconti e questi ultimi che prima governarono direttamente la nostra zona, poi finirono col cederla ai Dal Verme.

Nel ‘400 e ‘500, a Erba e dintorni erano fiorenti molte attività: prima di tutto l’agricoltura, anche se poco redditizia; l’allevamento soprattutto di pecore e capre; c’erano due torchi e fornaci per la produzione di mattoni. Era diffuso il commercio della lana e si confezionavano abiti di lusso e tonache per i monaci di tutta la Lombardia. Nella città di Erba si tenevano ben tre mercati: a Incino, a Mevate e davanti alla chiesa di S. Maria degli Angeli. Sulle rive del Lambro sorgevano molti mulini per la macinazione dei cereali o per la lavorazione del ferro (mulini da maglio). Gli armaioli di Canzo ( famiglia Negroni detta anche Missaglia) poi erano celebri in tutta la Lombardia e rifornivano i Signori di Milano. C’erano anche scuole di diritto con borse di studio per studenti poveri, una scuola di notai, numerosi conventi e oratori, l’ospizio del castello di Pomerio (per accogliere pellegrini e malati) , una farmacia (erboristeria).

Purtroppo con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, il nostro territorio venne assegnato ad un vicerè spagnolo; per rimpolpare le casse del regno svuotate dalle lunghe guerre, furono imposte tasse pesantissime che a poco a poco soffocarono molte fiorenti attività economiche del territorio erbese; a questo si aggiunsero periodi di carestia e pestilenze ricorrenti che impoverirono tutta la Lombardia, ma a Erba e dintorni il loro impatto fu meno pesante che altrove.

Nel 1773, con la pace di Utrecht, la dominazione spagnola terminò con l’avvento degli Austriaci, i cui interventi sul territorio sono ancora visibili.

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TRADIZIONI NATALIZIE E FOLCLORE NEL TERRITORIO ERBESE – Il legame del territorio erbese con Milano ha radici antichissime e lo riscontriamo nella somiglianza dei dialetti e nell’appartenenza alla stessa diocesi e allo stesso rito ambrosiano.

A differenza del rito romano, nel rito ambrosiano l’Avvento prevede sei domeniche (e non quattro) e comincia quindi ai primi di novembre; anticamente tuttavia si cominciava a respirare aria di Natale soltanto dalla festività dell’8 dicembre. La benedizione delle case veniva fatta a ridosso delle festività ed era occasione per rimettere a lucido tutta la casa.

Una tradizione importante era quella del “cioc”: si cercava nei boschi un grosso ceppo che veniva ornato e messo nel camino la notte di Natale. La “regiura” lo colpiva tre volte col mestolo e ad ogni colpo esprimeva un desiderio, intanto il “regiur” lo speuzzava col vino. Il ceppo doveva durare fino all’Epifania , quando venivano raccolti e conservati i residui legnosi, che venivano bruciati durante i temporali estivi. In quelle 12 notti potevano accadere le cose più fantastiche: si diceva che nella notte di Natale gli animali nelle stalle parlassero tra di loro, ma guai a chi li avesse sentiti; le streghe volavano di notte e volevano trovare le case ben pulite.

Era una vera disgrazia poi nascere nella notte di Natale: non era bello cercare di distogliere l’attenzione dovuta al Bambino Gesù per attirarla su di sé.

Due lezioni interessanti che hanno riscosso grande gradimento da parte dei numerosissimi presenti.

UTE: La Spagna di E. De Amicis e l’Italia di E. Castelar – Don Milani

La prof. Piccolo ha iniziato la lezione facendo un breve riassunto della lezione precedente, ricordando come è nato il libro “Spagna” di Edmondo De Amicis. Questi, giovanissimo giornalista, era stato mandato in Spagna come inviato del giornale la “Nazione ” di Firenze per registrare l’umore degli Spagnoli che in quegli anni si trovavano ad essere governati da Amedeo I di Savoia , insediato sul trono di Spagna dopo l’estinzione della dinastia borbonica.

Il giovane De Amicis descrive ogni tappa del suo viaggio cercando di cogliere gli aspetti più accattivanti della Spagna, che a quel tempo era percepito dagli Italiani come un paese esotico. I suoi racconti ebbero l’effetto di incentivare i viaggi di piacere a scopo turistico verso la penisola Iberica.

Durante la sua permanenza in Spagna De Amicis conobbe e divenne amico di uno scrittore e uomo politico molto noto in Europa per i suoi discorsi contro la schiavitù che ancora era praticata nelle terre d’oltremare (Cuba, Portorico, Filippine): Emilio Castelar. Questi in passato aveva partecipato a dei movimenti rivoluzionari ed era stato costretto a scappare dal suo paese per evitare una condanna a morte. Nella sua fuga aveva visitato diversi paesi, ma quello che lo aveva affascinato di più era l’Italia e, dopo molti anni scrisse un libro intitolato “Recuerdos De Italia”, nel quale, senza un ordine logico, riportava le sue riflessioni e le emozioni provate visitando le città italiane e non solo i luoghi più noti. Ne traspare un grande amore per l’arte e per la cultura italiana.

I due libri furono pubblicati nello stesso anno e, pur essendo due noti libri di viaggio, presentano differenze notevoli, derivanti dalle diverse circostanze in cui sono stati pensati e scritti: De Amicis doveva conquistare il suo datore di lavoro e i lettori del suo giornale, quindi raccontava solo cose piacevoli e solo quello che i lettori si aspettavano di leggere; Castelar scriveva solo per esprimere il suo grande amore per l’Italia e ne descrisse in modo mirabile luoghi e atmosfere di grande bellezza, ma anche angoli di degrado e povertà.

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La lezione precedente era terminata con la lettura di alcuni articoli delle leggi razziali del 1938 ed è proseguendo quella lettura che oggi il prof. Cossi ha iniziato il suo racconto sulla figura di Don Milani. La madre del prete toscano infatti era ebrea e si può immaginare come quel periodo fosse vissuto in casa Milani.

Nel 1943, a 20 anni, Lorenzo entrò in seminario dove la vita era piuttosto difficile, soprattutto per lui che veniva da una famiglia benestante che gli aveva assicurato ogni conforto; il cibo era scarso e le celle fredde.

Il giovane seminarista studiava con passione le materie che gli interessavano, ma trascurava le altre e questo gli attirò l’ostilità del rettore, mons. Tirapani, ostilità che continuerà anche negli anni successivi al seminario. Il 13 luglio 1947 viene ordinato sacerdote e viene mandato nella parrocchia di San Donato di Calenzano, paese di operai e contadini, dove resterà per sette anni. In accordo col suo buon parroco, apre una scuola serale, perchè pensa che la mancanza di istruzione sia il problema più grande dei suoi parrocchiani: vuole che ognuno possa essere in grado di leggere un giornale e di capirne i testi. Ogni Venerdì invita un esperto per una conferenza e nei giorni precedenti della settimana prepara i suoi allievi a comprendere l’argomento che verrà affrontato e lui stesso prepara le lezioni, aggiornandosi via via sui temi da affrontare.

L’Italia in quegli anni è un paese da ricostruire: nel ’46 era stata proclamata la Repubblica e poi il governo era esercitato da una coalizione che comprendeva i partiti che avevano partecipato alla resistenza, ma i soldi del piano Marshal sarebbero arrivati solo a condizione che De Gasperi escludesse dal governo i rappresentanti del partito comunista e fu così che iniziò il lungo periodo dei governi etichettati Democrazia Cristiana, con l’appoggio di piccoli partiti di destra.

Due lezioni belle e ben esposte hanno arricchito il nostro pomeriggio all’UTE.

UTE: Le guerre coloniali italiane – La fase dei grandi imperi africani.

E’ nella seconda metà dell’800 che ha inizio il colonialismo europeo in Africa: gli Stati europei hanno bisogno di materie prime e hanno capitali da investire, inoltre c’è anche l’alibi culturale: bisogna portare la “civiltà” nel continente nero. In realtà il colonialismo ha destrutturato le antiche civiltà africane.

Con l’apertura del Canale di Suez nel 1877, i territori che si affacciano su questa importante via di comunicazione assumono una nuova importanza. Nella Conferenza di Berlino del 1884, gli Stati europei si spartiscono i territori africani disegnando a tavolino dei confini senza tener conto di fattori ambientali e culturali. Ad esempio vengono unite Tripolitania e Cirenaica nello stato della Libia, ma le due regioni sono profondamente diverse tra loro e anche oggi, dopo la fine del regime di Gheddafi, sono in continua lotta tra di loro.

I primi italiani a entrare in Africa sono i missionari, poi li seguirono i mercanti e infine arrivarono i militari. Spesso i missionari assumono anche funzioni di collegamento con gli stati di origine dando alla loro missione una valenza anche di tipo “coloniale”; per questo nel 1919 Papa Benedetto XV emanò un’enciclica, la “Maximum illud” nella quale criticava il colonialismo europeo e incoraggiava invece la formazione di missionari africani.

Cominciò poi, alla fine degli anni 70 dell’800, la fase delle esplorazioni delle zone interne dell’Africa ancora sconosciute e molti esploratori vengono uccisi nel corso delle loro spedizioni.

Nel 1879 la baia di Assab, acquistata dall’armatore Rubattino 9 anni prima, diventa colonia italiana; nel 1885, sotto il governo Depretis, l’Italia conquista Massaua e da lì parte per conquistare l’interno dell’Etiopia, che era un impero di tipo feudale di antichissime origini. I soldati Italiani conquistano la città di Saati, ma il ras Aulula reagisce e massacra le truppe italiane.

A Depretis succede Crispi, che vuole modernizzare e industrializzare il paese basandosi su una politica autoritaria. Egli fa leva sulle divisioni interne all’impero etiopico e appoggia il ras Menelik, che diventa così il nuovo Negus e firma il trattato di Uccialli, nel quale però è contenuta una contraddizione: nella versione scritta in aramaico si afferma l’alleanza fra Italia ed Etiopia, nella versione italiana si parla invece di “protettorato”. E’ in forza di questo trattato che l’esercito italiano entra nella città di Axum, la città santa dei cristiani copti etiopici, scatenando la reazione di Menelik, che allestisce un esercito di 150mila uomini ben addestrati. I 30mila soldati italiani, circondati ad Amba Alagi vengono massacrati. Le sconfitte si susseguono ed è in una di queste battaglie che muore il figlio di Bocconi, il fondatore dell’università milanese.

Intanto in Italia si verificano frequenti moti popolari per protestare contro la povertà e le tasse . Nel 1900 viene ucciso il re Umberto I; gli succede Vittorio Emanuele III, che punta su una maggiore democratizzazione e sull’industrializzazione del paese, mentre in Africa viene creata la Somalia Italiana con l’unificazione di alcuni territori. E’ l’epoca dei governi capeggiati da Giolitti, della propaganda che invoca “un posto al sole”, della pretesa di cristianizzare l’Africa e Giolitti, appoggiandosi ora ai partiti di destra ora a quelli di sinistra , decide di far guerra alla Turchia (Impero Ottomano) per conquistare la Libia. L’esercito italiano, nel 1911, conquista facilmente le zone costiere, ma trova una forte opposizione nelle popolazioni berbere che abitano nelle zone interne. Gli Italiani occupano le isole del Dodecaneso e nel 1912 si arriva al trattato di Losanna col quale la Libia passa ufficialmente sotto l’amministrazione militare e civile dell’Italia.

Interessante e ben esposta questa lezione del prof. Emilio Galli.

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I GRANDI IMPERI PRECOLONIALI: Don Ivano confida molto nella buona volontà e nell’amore per lo studio di noi soci, perciò ci fornisce il materiale per poterci informare e poi nelle sue relazioni ama divagare in forza della sua grande cultura eclettica. Pertanto non è facile riassumere queste lezioni, dovrei avere il tempo di studiarmi i suoi opuscoli.

Tuttavia posso qui registrare alcune informazioni. Gli Imperi coloniali precoloniali erano costituiti da numerose tribù di etnie diverse governate da un unico imperatore. I tre imperi presi in considerazione nella lezione odierna occupano la parte centrale del continente africano e sono: il Mali, il Congo e l’Etiopia. L’impero del Mali (1235 – 1645) comprendeva fu un impero dell’Africa Occidentale, fondato dal popolo di etnia mandingo che viveva nella regione fra il Mali meridionale, la Guinea orientale, la Costa d’Avorio settentrionale, il Senegal meridionale, la Guinea-Bissau e il Gambia. Poteva controllare le importantissime vie commerciali trans-sahariane.

L’impero del Congo (fine 1300 – inizi 1900) controllava una vastissima zona dell’Africa centrale. Formalmente indipendente, dalla fine del XVI secolo fu sempre più influenzato culturalmente (con la conversione del sovrano al cattolicesimo) ed economicamente dal Portogallo che, nel corso dei secoli, ne minacciò l’integrità territoriale per espandere le proprie colonie. Nel 1914 fu formalmente soppresso dai portoghesi e annesso al loro impero coloniale, anche se parte del suo territorio era già stato smembrato tra Belgio e Francia.

Anticamente il nome Etiopia veniva usato per indicare tutto il continente africano. L’impero dell’Etiopia presentava un territorio prevalentemente montuoso, abitato da popolazioni di diversa etnia: ogni valle era (e forse è ancora) un’entità a sé. L’imperatore faceva risalire le proprie origini alla regina di Saba e a Salomone. L’impero ebbe inizio nel XII secolo e, esclusa la parentesi coloniale, terminò nel 1974.