Credo che tutti conosciamo la parabola evangelica de “Il Buon Samaritano”, quella in cui uno sventurato aggredito e picchiato dai briganti viene curato e assistito non dai passanti che appartengono alla élite israelita, ma da uno straniero di passaggio, appartenente a un gruppo etnico disprezzato e ritenuto eretico.
E’ accaduto anche pochi giorni fa. Un mio familiare se ne stava andando in bicicletta verso Milano per andare al lavoro. Terminata la pista ciclabile, una macchina lo ha urtato e lo ha sbalzato sul bordo della strada. Il casco lo ha protetto, ma ugualmente il malcapitato si è ritrovato a terra in stato confusionale. Ricorda a malapena una voce femminile, certamente italiana, che gli chiedeva come stava e ha poi visto la sua bici ben appoggiata al muro con accanto lo zaino. Ma lui non riusciva a capire cosa gli stesse capitando. Poco dopo è passata di lì una signora nordafricana che accompagnava il figlio a scuola; lei lo ha guardato ed è passata oltre, ma dopo pochi minuti eccola di ritorno per sincerarsi di cosa fosse accaduto a quel giovane che restava ancora lì seduto a terra.
Gli parla e capisce che è molto stordito, che non risponde a tono alle sue domande e chiama l’ambulanza. Mentre il ragazzo viene portato via si prende cura della sua bici e telefona (ha preso il numero dal cellulare) alla moglie per dirle dove potrà recuperarla.
Si fa così presto ad etichettare la gente dal modo di vestire, dal colore dell’incarnato, dall’accento, ma spesso c’è più umanità in quelli di cui la gente diffida che in quelli che sono ritenuti “gente perbene”.
La “buona samaritana” merita certamente un grosso grazie e un gesto di gratitudine.