E poi viene il gelo; del raccolto è inutile parlare.
Comincia la neve; finisce la finzione della vita.
La terra adesso è bianca; i campi splendono al sorgere della luna.
Io siedo alla finestra accanto al letto, guardo la neve cadere.
La terra è come uno specchio:
calma su calma, distacco su distacco.
Ciò che vive, vive sottoterra.
Ciò che muore, muore senza lotta.
Se non fosse stata premiata col Nobel per la letteratura, molto probabilmente pochi di noi avrebbero conosciuto il nome di questa poetessa statunitense. Qualcuno la paragona a E. Dickinson e io non capisco il perché: la poesia di Emily Dickinson è sempre intrisa di valori positivi, di amore per la vita, di incitamenti alla solidarietà; nella poesia della Gluck si sente spesso profonda amarezza, pessimismo, si sente la fatica del vivere.
Anche in questa poesia intitolata RACCOLTO (ma poi dice subito che è inutile parlarne), per lei la vita è solo una “finzione di vita” (forse perchè destinata ad avere prima o poi una fine) e il suo sguardo è solo puntato su immagini fredde, su una terra avvolta dalla neve e dal gelo dove le forme di vita residue si nascondono sotto terra e quelle che soccombono muoiono quietamente, senza strepiti, senza dibattersi nel tentativo di resistere a un destino implacabile.