Segnalo questo film, che parla della pena di morte, ancora in vigore in molti stati degli USA.
Non è certo il primo film, a parlare di questo tema, ma in Clemency esso viene visto da una prospettiva diversa da quella del condannato. Infatti la protagonista è una direttrice di un carcere che, per dovere d’ufficio, si trova a dover espletare tutte le formalità previste dai regolamenti per giungere all’esecuzione del prigioniero.
Lei sente come un peso insopportabile il dover sostenere lo sguardo e l’angoscia dei prigionieri nel braccio della morte e anche quello dei familiari, che non smettono di ricorrere a tutti gli organi preposti per ottenere una grazia che non verrà mai concessa. Il suo tormento è talmente profondo che rischia di compromettere anche la sua vita familiare.
Il film, che non si basa su una storia vera, tuttavia fa riflettere sulla disumanità della pena di morte, che arroga allo stato il diritto di uccidere: ma lo Stato può avere il diritto di togliere la vita a un cittadino? Lo stato non può diventare assassino per punire gli assassini: si macchia dello stesso delitto che vuole punire. E che questo sia possibile ancora in tanti stati del mondo che si dicono civili è uno scandalo insopportabile.
Il film è molto ben fatto e molto ben interpretato: vale la pena vederlo.