Film: L’attesa di P. Messina.

l'attesaIl film si apre con una cerimonia funebre e con un bacio a un Crocifisso, il Figlio morto sulla croce. Poi la scena cambia e ci si ritrova dentro a una villa solitaria sulle pendici dell’Etna: fuori imperversa la luce accecante del sole di primavera, dentro domina il buio, la penombra e anche gli specchi vengono oscurati in segno di lutto. In questa oscurità vive Anna, in preda a un dolore che la impietrisce…. ma arriva Jeanne, una giovanissima ragazza francese, la fidanzatina di Giuseppe che l’ha invitata come ospite a casa sua, ma Giuseppe non c’è e Anna non spiega la sua assenza se non dopo molte richieste di spiegazione: Giuseppe è dovuto andare via e tornerà per Pasqua (siamo nella settimana santa) perciò Jeanne può fermarsi ad aspettarlo. Col passare dei giorni Jeanne e Anna stringono un rapporto di amicizia, ma solo per intromissione del factotum di casa , Pietro, Jeanne capirà che Giuseppe in realtà è morto e che la madre vuole continuare a farlo vivere nei suoi pensieri non accettando la dolorosa realtà di un distacco definitivo e capisce che è proprio per conoscere meglio attraverso di lei quel figlio che non c’è più. Con l’abbraccio fra le due donne alla partenza di Jeanne, questa non rivela ad Anna di aver scoperto la verità, per consentirle di continuare a vivere nella sua illusione.

Il film si fa apprezzare per molti aspetti: la fotografia in primis. Ogni inquadratura sembra un quadro di qualche pittore fiammingo o del Caravaggio:raggi di sole penetrano dalle persiane semichiuse rivelando forme avvolte nell’oscurità ; corridoi bui fanno intravvedere da lontano la luce prorompente della Sicilia . Altro pregio è da ritrovare nella recitazione delle due protagoniste, Juliette Binoche e Lou de Laâge, entrambe inarrivabili nel gioco di sguardi e di espressioni : la loro comunicazione è più affidata a questi segni che alle parole.

Un particolare interesse rivestono  poi i riferimenti alla settimana di Passione, che culminano nella processione del Venerdì Santo. Lì in mezzo alla folla, ad Anna pare di vedersi accanto il figlio almeno per un attimo e quindi si mette a cercarlo con angoscia crescente  , forse con la stessa angoscia  con cui un’altra madre, Maria,  ha seguito suo Figlio lungo  la via del Calvario.

Il film, per la cui fruizione è stata determinante la guida di don Ivano, è piaciuto molto ai numerosi presenti, ma a me è parso un po’ freddo: forse il regista era troppo preso dalla ricerca estetica e ha trascurato  il lato comunicativo ed empatico della vicenda: solo il lungo silenzioso abbraccio finale mi ha coinvolto emotivamente.

Per questo suo primo film il regista, che ha collaborato a lungo con Sorrentino (quello di “La grande bellezza) si è ispirato a un’ opera teatrale  di Pirandello intitolata “La vita che ti diedi” di cui QUI potete trovare trama e altre notizie, QUI invece si può leggerne il testo integrale.