Festa delle Associazioni all’Excelsior.

Ieri sera è stato bello vedere premiare tanti giovani per il loro impegno scolastico o per i risultati sportivi conseguiti in campo regionale, nazionale o addirittura internazionale. Sono state premiate anche intere classi degli Istituti Scolastici cittadini per i progetti realizzati con l’aiuto dei loro docenti. Questa sfilata di ragazzi pieni di entusiasmo e con tanta voglia di fare mi ha riempito il cuore di speranza: il futuro non può fare paura se sarà nelle loro mani.

Sono state poi festeggiate anche le associazioni che si occupano di solidarietà e che quest’anno hanno compiuto un “anniversario” importante. Tra queste è stata premiata anche la nostra UTE che vanta trent’anni di attività a beneficio dei cittadini adulti del territorio erbese: ha ritirato il riconoscimento il nostro Presidente dr. Umberto Filippi.

Come ha ricordato il Sindaco Caprani, l’Italia è il paese con la più elevata presenza di associazioni di volontariato e forse è per questo che il nostro paese continua ad andare avanti senza troppi scossoni: il volontariato sopperisce molto spesso alla mancanza di servizi efficienti e alle carenze delle istituzioni ufficiali.

W il volontariato ! W i volontari!!!

Dimenticavo: a rallegrare lo spettacolo è intervenuto il coro Gospel dell’ass. NOI, VOI , LORO che ha eseguito con grande bravura brani noti e meno noti molto applauditi dal pubblico in sala.

Il momento in cui il dr. Ghislanzoni legge la motivazione e consegna al dr. Filippi il riconoscimento .

UTE: Le Signorie minori: i Della Scala – Cure palliative: come, dove, quando

La nostra apprezzata e carissima docente Alberta Chiesa ha intrapreso, con questa lezione, un nuovo ciclo di lezioni su un aspetto della nostra storia non molto conosciuto dai più: le Signorie minori.

Per comprendere come siano nate le Signorie, fenomeno marcatamente italiano, bisogna rifarsi al periodo in cui le città italiane sono diventate Comuni. Il nord Italia e parte del centro costituivano il Regno d’Italia facevano parte del Sacro Romano Impero, ma per le ricorrenti lotte di successione, erano spesso abbandonati a sé stessi e l’unica autorità riconosciuta e riconoscibile era quella dei vescovi, che divennero capi religiosi e capi politici. Successivamente furono le famiglie dei nobili a prendere il governo delle città eleggendo uno o più Consoli, ma siccome erano frequenti le lotte per contendersi queste cariche, si pensò di chiamare un Podestà che veniva da fuori città. I contrasti con i Comuni vicini erano frequentissimi e si sentì quindi la necessità di nominare un Capitano del Popolo per guidare l’esercito, appoggiato dalle famiglie più influenti. Sparirono gli organi elettivi e questa carica divenne ereditaria: da quel momento ebbero inizio le Signorie.

Alla fine del ‘300, tramonta il teocentrismo che aveva caratterizzato tutto il Medio Evo e si afferma un nuovo Umanesimo: l’arte non ebbe più soltanto carattere religioso e il mecenatismo dei Signori fece sì che venissero incoraggiate tutte le arti: le città si arricchirono di tesori inestimabili e le residenze nobiliari sfoggiavano la potenza dei loro possessori tramite opere che ancora oggi ammiriamo.

Oltre alle Signorie più conosciute (Visconti, Sforza, Medici) nelle città più piccole si affermarono Signorie minori, tra queste la nostra docente ci ha illustrato la storia degli Scaligeri di Verona.

La città veneta divenne Comune nel 1136 con la nomina di 3 consoli, ma già 30 anni dopo venne chiamato il Podestà Ezzelino i cui discendenti si imposero come Signori della città di Verona. E’ nel 1181 che Arduino Della Scala ottiene il governo della città e la sua famiglia mantenne il potere per quasi due secoli. Tra gli Scaligeri il più conosciuto è Cangrande, grande Mecenate che abbellì la città con palazzi lussuosi e la fortificò con mura possenti merlate a coda di rondine come si usava nelle città ghibelline.

La Signoria degli Scaligeri terminò quando l’ultima discendente sposò Bernabò Visconti e la Marca veronese venne annessa al Ducato di Milano.

Dante fu ospite di Cangrande della Scala e a lui dedicò alcuni versi nel Canto XVII del Paradiso.

%/%/%/%/%/%

CURE PALLIATIVE – Il dr. Giuseppe D’Amico ci ha proposto un approfondimento del tema su cui vertono le sue lezioni: le modalità di attivazione delle cure palliative.

Quando un malato non risponde più alle cure specifiche, bisogna valutare l’accesso alle cure palliative dopo aver preso in considerazione gli ultimi accertamenti clinici, le condizioni di vita del paziente, la sua autonomia, l’alimentazione e il numero dei ricoveri ospedalieri negli ultimi 6 mesi.

In Italia varie associazioni di medici hanno prodotto delle schede tendenti proprio a valutare la qualità della vita del paziente; tali schede possono essere compilate dal medico o dai familiari e vengono inviate all’ente erogatore delle cure palliative, il quale deve rispondere entro le 24 ore successive.

Si ha quindi un colloquio mirato a conoscere la situazione del paziente, della famiglia e le condizioni abitative (se consentono o meno la presenza di un care-giver). Il colloquio serve anche a spiegare chiaramente a cosa servono le cure palliative, che non possono avere come scopo la guarigione, ma mirano a controllare i sintomi della malattia; inoltre alla fine del colloquio si definisce anche dove potranno essere somministrate le cure: domicilio, Hospice o ambulatorio.

Erba non è una città per i giovani?

Quante volte sentiamo dire che i giovani d’oggi sono interessati solo al cellulare, che fanno fatica a stabilire relazioni sociali positive, che si disinteressano della vita reale che li circonda?

Forse anche questo è diventato un luogo comune o forse quanto detto sopra è vero per una parte dei nostri giovani; certamente non vale per tutti.

Un gruppo di giovani del nostro territorio da anni ha dato vita a un’ encomiabile associazione chiamata “LO SNODO” e si impegna in modo ammirevole, con costanza ed entusiasmo, per realizzare eventi e iniziative indirizzate ai coetanei.

Sarebbe logico aspettarsi che un’associazione di questo genere, che già ha fatto tanto per i giovani del territorio e che può fare ancora moltissimo, riscuotesse il plauso di tutti e in particolare dell’amministrazione comunale cittadina, invece (strano a dirsi) non è così: per l’evidente ostilità dell’amministrazione comunale infatti LO SNODO potrebbe essere sfrattato dai locali della stazione di Erba.

Se i cittadini erbesi accetteranno passivamente e con indifferenza l’eventuale allontanamento dei ragazzi dello SNODO, dimostreranno di non avere interesse per i propri figli e nipoti…

UTE: La stampamte 3D – Morlotti e quel suo dolcissimo paesaggio.

Il dr. Rizzi oggi ci ha illustrato una tecnologia che sa di futuro: la stampante 3D.

E’ una tecnologia per molti ancora sconosciuta, ma la cui scoperta risale alla fine degli anni 80. La stampante è in grado di produrre prototipi a basso costo, modelli di fusione (in oreficeria), attrezzature di produzione e viene utilizzata quando si devono produrre pochi pezzi dello stesso tipo.

E’ una tecnologia che fa risparmiare tempo ed è di facile utilizzo. Ne esistono diversi tipi.

La più piccola, di uso domestico, è grande come un PC e funziona grazie alla fusione di un filo di plastica (venduto a bobine) che la stampante spalma strato su strato secondo un modello che è stato programmato. Può costare circa 200 euro. Tutt’altro discorso è invece quello che riguarda le stampanti per le industrie che hanno prezzi molto più elevati e possono produrre protesi individualizzate (in ortopedia e ortodonzia) e addirittura cartilagini ,tessuti e organi umani (anche se per questi ultimi sono ancora in corso studi ed esperimenti). In edilizia stampanti di grandi dimensioni possono addirittura produrre case e palazzi; anche l’industria aerospaziale ricorre spesso a questa tecnologia per riprodurre parti da inserire nelle astronavi.

E’ certo una tecnologia che può avere sviluppi ora inimmaginabili e che può cambiare il mondo della produzione.

%/%/%/%/%/%

MORLOTTI E QUEL SUO DOLCISSIMO PAESAGGIO – La prof. Beretta oggi ci ha parlato di un pittore che io non avevo mai sentito nominare, ma che, ho scoperto, è tra i più importanti pittori lombardi del secolo scorso.

Nato nel 1910 a Lecco, si iscrisse all’accademia di Firenze nel 1936, ma ne uscì dopo due anni, perché si sentiva estraneo alla tradizione toscana, così intellettuale e legata ai volumi geometrici; l’arte lombarda invece è da sempre molto legata alla realtà. Morlotti apprezza il realismo di Caravaggio e si sente vicino a Cézanne ea Courbet.

Lasciata l’Accademia partì per Parigi, dove si immerse nell’arte dei grandi pittori contemporanei e non. Due opere lo colpirono più di tutte: “Guernica” di Picasso e “Le bagnanti” di Cézanne. Nel primo di questi quadri scopre un nuovo modo di rappresentare la realtà, che è soprattutto una realtà emotiva anche se quasi surreale per la forma estetica; il secondo quadro, secondo quanto dice lo stesso Morlotti, è stato per lui come un pugno nello stomaco per l’uso delle forme e dei colori.

Fino a questo punto, però , il pittore lecchese non aveva ancora trovato un suo modo personale di esprimersi con la pittura e lo stesso successe anche al suo ritorno a Milano nel 1939. Qui però ebbe modo di incontrare e frequentare tutti gli intellettuali più in vista in quel periodo. Allo scoppio della guerra si trasferì a Mondonico, una piccola frazione di Olgiate Molgora, fatta di poche case immerse nel verde. Nel silenzio e nella quiete di quel luogo, Morlotti trovò l’ispirazione per la sua pittura e cominciò a dipingere i paesaggi che lo circondavano, caratterizzati da colline dolcie ricche di vegetazione. La sua pittura di quel periodo era istintiva, emotiva, ricca di colori.

A questo periodo felice seguì una parentesi parigina, assai meno “produttiva” Poi scoprì Imbersago e vi si trasferì e ritrovò la sua vena artistica, ma non si dedicò più ai paesaggi: il suo interesse si concentrò sui particolari della natura che aveva intorno, come a volerli penetrare; sono di questo periodo i “Paesaggi sull’Adda” dove arriva a un modo di dipingere che si può definire “informale”: non usa pennelli, ma spatole, non dipinge cose, ma macchie di colore. Dai suoi quadri traspare una grande partecipazione emotiva alla natura delle terre lombarde.

Sono grata alla professoressa Beretta per avermi fatto conoscere questo pittore così intimamente legato alla sua terra.

UTE: ‘400, ‘500, ‘600 nel territorio erbese – Tradizioni e folclore natalizio nel milanese e in Brianza.

Grazie alla disponibilità e alla generosità della prof.ssa Alberta Chiesa e del dr. Giorgio Mauri oggi all’UTE è stato possibile ovviare alla forzata assenza della dr.ssa Todaro a cui rivolgiamo i nostri più fervidi auguri.

La prof Chiesa ci ha intrattenuto su un periodo poco conosciuto della storia erbese, quello che va dal ‘400 al ‘600.

Due erano le famiglie più influenti nel nostro territorio: i Parravicini (già nel XII secolo proprietari dei castelli di Casiglio e Pomerio e i Carpani (di origine non nobile e provenienti da Ponte Lambro, erano divenuti tanto ricchi da poter comprare il borgo di Villincino dopo che era stato distrutto nel 1285).

Nell’età delle Signorie, l nostro territorio risentì fortemente delle lotte tra le famiglie dei Torriani e dei Visconti e questi ultimi che prima governarono direttamente la nostra zona, poi finirono col cederla ai Dal Verme.

Nel ‘400 e ‘500, a Erba e dintorni erano fiorenti molte attività: prima di tutto l’agricoltura, anche se poco redditizia; l’allevamento soprattutto di pecore e capre; c’erano due torchi e fornaci per la produzione di mattoni. Era diffuso il commercio della lana e si confezionavano abiti di lusso e tonache per i monaci di tutta la Lombardia. Nella città di Erba si tenevano ben tre mercati: a Incino, a Mevate e davanti alla chiesa di S. Maria degli Angeli. Sulle rive del Lambro sorgevano molti mulini per la macinazione dei cereali o per la lavorazione del ferro (mulini da maglio). Gli armaioli di Canzo ( famiglia Negroni detta anche Missaglia) poi erano celebri in tutta la Lombardia e rifornivano i Signori di Milano. C’erano anche scuole di diritto con borse di studio per studenti poveri, una scuola di notai, numerosi conventi e oratori, l’ospizio del castello di Pomerio (per accogliere pellegrini e malati) , una farmacia (erboristeria).

Purtroppo con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, il nostro territorio venne assegnato ad un vicerè spagnolo; per rimpolpare le casse del regno svuotate dalle lunghe guerre, furono imposte tasse pesantissime che a poco a poco soffocarono molte fiorenti attività economiche del territorio erbese; a questo si aggiunsero periodi di carestia e pestilenze ricorrenti che impoverirono tutta la Lombardia, ma a Erba e dintorni il loro impatto fu meno pesante che altrove.

Nel 1773, con la pace di Utrecht, la dominazione spagnola terminò con l’avvento degli Austriaci, i cui interventi sul territorio sono ancora visibili.

%/%/%/%/%/%/%

TRADIZIONI NATALIZIE E FOLCLORE NEL TERRITORIO ERBESE – Il legame del territorio erbese con Milano ha radici antichissime e lo riscontriamo nella somiglianza dei dialetti e nell’appartenenza alla stessa diocesi e allo stesso rito ambrosiano.

A differenza del rito romano, nel rito ambrosiano l’Avvento prevede sei domeniche (e non quattro) e comincia quindi ai primi di novembre; anticamente tuttavia si cominciava a respirare aria di Natale soltanto dalla festività dell’8 dicembre. La benedizione delle case veniva fatta a ridosso delle festività ed era occasione per rimettere a lucido tutta la casa.

Una tradizione importante era quella del “cioc”: si cercava nei boschi un grosso ceppo che veniva ornato e messo nel camino la notte di Natale. La “regiura” lo colpiva tre volte col mestolo e ad ogni colpo esprimeva un desiderio, intanto il “regiur” lo speuzzava col vino. Il ceppo doveva durare fino all’Epifania , quando venivano raccolti e conservati i residui legnosi, che venivano bruciati durante i temporali estivi. In quelle 12 notti potevano accadere le cose più fantastiche: si diceva che nella notte di Natale gli animali nelle stalle parlassero tra di loro, ma guai a chi li avesse sentiti; le streghe volavano di notte e volevano trovare le case ben pulite.

Era una vera disgrazia poi nascere nella notte di Natale: non era bello cercare di distogliere l’attenzione dovuta al Bambino Gesù per attirarla su di sé.

Due lezioni interessanti che hanno riscosso grande gradimento da parte dei numerosissimi presenti.

Poesia:Trovare la libertà (Wadia Samadi)

In questa poesia, l’autrice, che ora vive negli USA, dà voce all’ angoscia di una donna afghana: svegliarsi ogni mattina con quel pensiero fisso in testa che ti dice di scappare lontano e realizzare subito dopo che anche per quel giorno non sarà possibile; aspettare invano per anni che le cose cambino …

Ma alla fine della poesia si sente come un grido di ribellione: bisogna trovare il coraggio di riprendersi la propria vita e la propria libertà. Spero che tutte le donne (non solo in Afghanistan) possano vivere vedendo rispettato il proprio diritto ad essere libere

Mi sveglio ogni mattina progettando la mia fuga
Ma che ne sarà dei miei figli?
Chi mi crederà?
Chi mi darà una casa?
Passano gli anni e io sto ancora aspettando
Quando finirà tutto questo?

Il mio trucco non copre il mio viso livido
Il mio sorriso non nasconde il mio volto tirato.
Eppure, nessuno viene ad aiutarmi
Dicono: andrà meglio
Dicono: non parlarne
Dicono: questo era il mio destino
Dicono: una donna deve tollerare
I panni sporchi si lavano in famiglia, dicono.
Quando finirà tutto questo?

Ancora una volta, trascina il mio corpo sul pavimento.
Mi soffoca e io lo imploro di non uccidermi.
Ancora una volta, pretende il mio silenzio
Ancora una volta mi dice che non merito di vivere.

Ne ho avuto abbastanza
Non voglio tacere
Vivrò
Troverò la libertà
Tutto questo finirà oggi.

(trad. Libreriamo)

***********************

Finding Freedom by Wadia Samadi

I wake up every morning scheming my escape
But what about my children?
Who will believe me?
Who will give me a home?
Years go by and I am still waiting
When will this end?

My makeup does not cover my bruised face
My smile does not hide my haggard visage
Yet, no one comes to help
They say: it will get better
They say: don’t talk about it
They say: this was my fate
They say: a woman must tolerate
Don’t air your dirty laundry, they say.
When will this end?

Once again, he drags my body to the floor
He chokes me and I beg him not to kill me
Once again, he demands my silence
Once again, he tells me I don’t deserve to live

I have had enough
I will not be silent
I will live
I will find freedom
This will end today.

Il cedro pendulo.

lo abbiamo piantato più di quarant’anni fa. Era un esile alberello dall’aria piuttosto triste con quei suoi pochi rametti che parevano davvero piangere. Poi col passare degli anni si è fatto via via più robusto e si è resa necessaria una prima potatura per liberarlo dai rami secchi.

Ora il cedro ha preso tanto coraggio e tanta forza da invadere tutta l’aiuola e da tentare di sconfinare nei giardini vicini. I giardinieri in questo momento lo stanno ridimensionando e io vedo con un po’ di tristezza cadere a poco a poco rami piccoli e grandi. Ci sarà meno spazio per i nidi la prossima primavera, ma il cedro potrà rifiorire e avere una nuova giovinezza.

UTE: Varietà degli esseri viventi presenti sulla terra – Don Milani e i poveri di Sa. Donato.

Proseguendo il discorso cominciato nella lezione precedente, il dr. Gatti ha posto questa domanda: Come preservare la biodiversità?

Vi sono molti modi per preservare la biodiversità: prima di tutto bisogna proteggere le specie a rischio e conservare il loro habitat, combattendo l’inquinamento, immagazzinando, ove necessario, il patrimonio genetico di specie a rischio di estinzione e reintroducendo nell’ambiente esemplari di specie ormai non più presenti localmente. Anche diffondere la conoscenza delle specie a rischio è un modo per favorirne la sopravvivenza.

Gli ambienti, che più hanno subito mutazioni a causa dell’azione dell’uomo, sono le aziende agricole, dove, per motivi di produttività, è stata ridotta radicalmente la biodiversità, abbandonando le specie meno redditizie a favore di quelle con rendimento più vantaggioso. Un tempo le famiglie che vivevano di agricoltura, miravano all’autosufficienza, coltivando specie diverse, ora (a partire dai primi anni 60 del secolo scorso) per la diminuzione di mano d’opera e per l’introduzione di macchine agricole sempre più potenti, si è arrivati alla specializzazione delle aziende, che , a volte, producono un solo tipo di prodotto. Inoltre, poiché le specie coltivate sono più vulnerabili di quelle spontanee, si è resa necessaria l’introduzione di prodotti chimici che hanno inquinato i terreni.

La perdita di biodiversità è un danno per tutto l’ambiente e per la cultura, perchè si perdono tutte quelle conoscenze che per secoli i nostri antenati si sono tramandati di generazione in generazione.

I cereali sono la specie più colpita dall’erosione della biodiversità, infatti dall’inizio del ‘900 ad oggi è scomparso il 90% delle specie di cereali. Sono presenti ad oggi in particolare due tipi di frumento: il grano tenero per la panificazione e la dolceria, il grano duro per la produzione di pasta. Si sta cercando di proteggere il grano “Senatore Cappelli” meno diffuso (nonostante non richieda l’uso di antiparassitari), perché richiede tempi più lunghi per la pastificazione contenendo meno glutine delle altre specie. In sintesi: le cause della diminuzione della biodiversità sono: la ricerca di maggiore produttività, ragioni di mercato e nuove metodologie di coltivazione.

Alla fine il dr. Gatti ci ha mostrato un prodotto del suo orto, che è una vera rarità: la cipolla di Brunate, di cui ci parlerà nella prossima lezione.

%/%/%/%/%/%

DON MILANI – La prima destinazione di don Lorenzo dopo la sua ordinazione sacerdotale è stata la parrocchia di San Donato di Calenzano, dove il vecchio parroco provava per lui affetto e stima. Alla morte (1953) di quest’ultimo, però, il giovane prete venne chiamato in curia, dove gli furono contestate le sue simpatie per i giovani operai comunisti della sua parrocchia, che egli accoglieva nella sua scuola serale e le sue provocatorie omelie in tempo di campagna elettorale.

E’ per queste sue posizioni che nel 1954 don Milano viene trasferito a Barbiana, una piccolissima parrocchia sull’Appennino, nella cui canonica non c’era né luce, né telefono, né acqua corrente. Anche nella nuova parrocchia don Lorenzo apre subito una scuola serale, convinto com’è che lo sviluppo intellettuale vada di pari passo con lo sviluppo del linguaggio e che sia essenziale insegnare prima di tutto a leggere e a scrivere perché la fede verrà di conseguenza.

E’ nella quiete di Barbiana che scrive il suo primo libro “Esperienze pastorali”, il quale ottiene l’imprimatur del vescovo, ma suscita poi aspre critiche e accuse di eresia da parte di importanti critici cattolici, che gli contestano l’appoggio alle organizzazioni sindacali, le critiche ai cattolici impegnati in politica per la loro scrsa incisività sulle politiche nazionali che privilegiano i ricchi.

In seguito a queste reazioni così negative, il vescovo di Firenze, Dalla Costa, ordina il ritiro del libro dal commercio e l’ “Osservatore Romano” arriva a dire che il libro “non doveva essere pubblicato”.

Don Milani amava profondamente la Chiesa e voleva rinnovarla dall’interno (sull’esempio di San Francesco).

Il prof. Cossi è un grande affabulatore e le sue lezioni sono sempre piacevoli da seguire e interessanti: tutti manifestano grande gradimento.