Priorità è l’interesse politico?

In una situazione di estrema emergenza come quella che si è creata in Romagna, cosa imporrebbe il buon senso? Quale dovrebbe essere la priorità assoluta?

La risposta è semplice: il bene dei cittadini così provati da una calamità senza precedenti, senza tener conto degli interessi politici di parte. Il governo è intervenuto con un decreto per stanziare due miliardi per i primi interventi, ma chi è autorizzato a spendere questi soldi se non si nomina il commissario responsabile della ricostruzione e della bonifica dei territori?

La logica seguita in altre occasioni è quella di nominare subito il presidente della regione, che ha il vantaggio di conoscere i territori e la struttura organizzativa, ma questo non sta accadendo … Lega e Fratelli d’ Italia pensano che a Bonaccini e al suo partito ne deriverebbe troppa visibilità e quindi troppo consenso, perciò la nomina tarda a venire: la Romagna può attendere…con le case invase da acqua stagnante e putrida, con le strade ingombre di masserizie rese inservibili, con  rischi sanitari facilmente ipotizzabili.

Bonaccini  in questo frangente si mostra ancora una volta una persona perbene: ha avuto parole di plauso per gli interventi tempestivi del governo nei primi momenti, ha accolto la Meloni con grande cordialità e ora si dissocia dalle polemiche in corso per invitare tutti a tener presente soprattutto il bene della gente.

Io ammiro Bonaccini!

 

 

UTE: Storia della scienza.

La storia della scienza cammina in parallelo con la storia dell’umanità ed ha avuto inizio, per quel che ne sappiamo, con i Sumeri (4000 a.C.) che, come risulta da alcune tavolette, avevano inventato il modo di calcolare l’area delle terre da assegnare.

La scienza, intesa come metodo per studiare la realtà, ha inizio dopo la morte di Alessandro Magno , quando i suoi successori si dividono le terre da lui conquistate. In Egitto la dinastia dei Tolomei costruì ad Alessandria una grande biblioteca che conteneva tutti gli scritti provenienti da tutto il mondo allora conosciuto: vi erano custoditi 420.000 papiri!!. Era il più grande centro culturale dell’antichità.

Eratostene di Cirene (III sec. a.C.) riuscì a calcolare con sorprendente approssimazione la misura del raggio della Terra. Ipparco di Nicea ipotizza l’esistenza di quella che noi oggi chiamiamo America e quella della Groenlandia, studiando le maree.

Archimede fu un grandissimo scienziato e i suoi principi e le sue scoperte sono ancora attualissimi; egli lasciò la descrizione di come arrivava a formulare le sue scoperte.

I Romani, grandi ingegneri e grandi architetti, non erano interessati alla scienza e con l’avvento del Cristianesimo che impone dogmi incontestabili molte conoscenze scientifiche vanno perdute anche perchè la Biblioteca di Alessandria viene distrutta.

Fortunatamente sono gli Arabi a portare avanti le conquiste scientifiche, proseguendo sulla linea dei pensatori e degli scienziati greci. Le loro conoscenze arrivano in Europa dalla Spagna.

Galileo Galilei è il primo scienziato dell’età moderna, perchè riprende il metodo scientifico basato sulla sperimentazione proprio degli antichi greci. Egli si dedica in particolare all’astronomia e sostiene la teoria eliocentrica. Questo gli attirerà le ire della Chiesa e alle sue accuse Galileo risponde affermando che la Bibbia non si occupa di scienza e che la scienza si basa sui fatti. Da Galilei in poi la scienza e la tecnologia hanno compiuto passi da gigante in un crescendo veramente sbalorditivo, specialmente in questi ultimi decenni.

La lezione del prof. Galoppo ha interessato tutti i presenti quindi ci auguriamo di averlo ancora come docente nel prossimo Anno Accademico-

La Lezione della prof.ssa Tatafiore sulla attualissima questione del “genere” non ha avuto luogo per problemi imprevisti che le hanno impedito di raggiungere l’UTE.

Gente di Romagna.

Eravamo nei primissimi anni ’60. Mia sorella mi  chiese (avevo 16 anni) di andare con lei al mare per aiutarla con la sua piccola Elisa di due anni. Aveva affittato un appartamento sulla riviera romagnola (forse Riccione). Quando fummo arrivate, capii a quale prezzo i nostri “padroni di casa” ci avevano dato la possibilità di vivere la nostra vacanza… Avevano svuotato l’appartamento in cui vivevano e avevano ammucchiato tutte le loro cose sotto una tettoia, dove cucinavano e mangiavano. Non ho capito però dove dormissero. Nonostante le condizioni difficili in cui passavano le loro giornate, non è mai mancato il loro saluto cordiale e il loro sorriso.

Era una famiglia di pescatori, gli uomini uscivano in mare e le donne contribuivano al bilancio familiare affrontando i disagi di una vita da “baraccati” per tutta la stagione estiva. E’ con questo spirito di sacrificio e di accoglienza che la Romagna ha saputo diventare una delle zone balneari più frequentate d’Europa, dove la cordialità, l’allegria, la creatività e il gusto della convivialità fanno la differenza.

E sarà questo antico spirito che aiuterà la gente di Romagna ad affrontare questa nuova devastante calamità, tuttavia abbiamo tutti il dovere di dimostrare concretamente la nostra solidarietà.

 

UTE: Il borgo di Villincino. – “Siamo ciò che mangiamo”: alimentazione e microbioma.

Incino e Villincino sono due zone da sempre ben distinte della città di Erba: Villincino era la zona abitata dalle famiglie più in vista, mentre Incino era  importante per la presenza della Pieve di S. Eufemia e perché vi si svolgeva il mercato, ma era abitata da famiglie di contadini.

Si parla di Villincino già in un documento risalente al 1160 e viene citato anche successivamente in documenti del 1253 e del 1348. Nel XIII secolo, durante la guerra che vide contrapposti  i Visconti e i Torriani, questi ultimi distrussero il borgo (restarono e sono visibili ancora oggi, solo la Torre e la Pusterla) che fu poi abbandonato per un lungo periodo. Continue reading “UTE: Il borgo di Villincino. – “Siamo ciò che mangiamo”: alimentazione e microbioma.”

Poesia per la mia terra devastata: Romagna (G. Pascoli)

Il mio cuore è là, nella Romagna  flagellata da un cataclisma devastante; a quella terra e ai suoi abitanti dedico questa poesia di Giovanni Pascoli, uno dei suoi figli più illustri:

Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:

sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l’altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l’anatra iridata,

oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell’aie; 

mentre il villano pone dalle spalle
gobbe la ronca e afferra la scodella,
e ‘1 bue rumina nelle opache stalle
la sua laborïosa lupinella.
 

Da’ borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini.
 

Già m’accoglieva in quelle ore bruciate
sotto ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color di rosa;
 

e s’abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un biricchino.
 

Era il mio nido: dove immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio.
 

E mentre aereo mi poneva in via
con l’ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;
 

udia tra i fieni allor allor falciati
da’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.
 

E lunghi, e interminati, erano quelli
ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettio d’uccelli,
risa di donne, strepito di mare.

Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive:
gli altri son poco lungi; in cimitero.
 

Così più non verrò per la calura
tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozïoso i piccolini,
 

Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

Letture: Millenovecentottantaquattro.

Non mi era mai capitato di leggerlo prima d’ora, ma ho capito perché è giustamente tra i libri più famosi del secolo scorso.

Credo che faccia molto pensare, faccia nascere interrogativi anche sulla nostra realtà odierna, in cui sembrano verificarsi tanti fenomeni profetizzati da Orwell.

Il Big Brother, che tutto vede e tutto controlla, non si manifesta al giorno d’oggi tramite uno schermo televisivo che ti spia (come accade nei più beceri reality odierni), ma siamo comunque sempre monitorati attraverso l’uso della tecnologia, sia che telefoniamo, che facciamo la spesa, che usiamo il bancomat o che consultiamo i siti commerciali o di informazione. In troppi sanno troppo di noi tutti.

Nella realtà ipotizzata da Orwell, chi detiene il potere ha una grande preoccupazione: eliminare il maggior numero di parole, inventare un nuovo linguaggio sempre più povero perché eliminando le parole si toglie alla gente la capacità di pensare. E cosa accade oggi? I sociologi affermano che il nostro linguaggio si impoverisce sempre di più, influenzati come siamo da mezzi di comunicazione di massa preoccupati solo di fare soldi e non di promuovere il livello culturale degli utenti.

Un altro assillo del Big Brother orwelliano è quello di cambiare la storia, riscrivere il passato, perché non resti il ricordo di tempi in cui c’era la libertà; ai giorni nostri c’è chi cerca di mistificare i fatti del passato per tentare di far apparire giusto ciò che giusto non può essere.

E cosa dire poi dell’informazione? Nell’Oceania, in cui è ambientato il romanzo, c’è un ministero apposito per manipolare le informazioni e addomesticarle secondo quanto può essere più conveniente per il regime imperante. E oggi? La tecnologia moderna è in grado di inventare notizie e farle sembrare credibili, di creare fotografie che sembrano vere e invece sono create al computer: spesso non sappiamo se credere o meno alle notizie da cui siamo bombardati e che ci siamo abituati a chiamare “fake news”.

Il protagonista del romanzo è tra i pochi che ricorda il tempo precedente la rivoluzione; riesce a comprendere come la realtà intera viene distorta dal sistema di governo e cerca di ribellarsi mettendosi in contatto con quelli che gli appaiono “cospiratori”, ma anche questi si riveleranno dei mistificatori il cui unico fine è individuare i potenziali “ribelli” e neutralizzarli con ogni mezzo.

Forse se avessi letto questo romanzo 70 anni fa, quando è stato pubblicato, lo avrei giudicato come un  originale prodotto di una fantasia prodigiosa, ma  oggi  è una lettura inquietante e spesso anche poco allettante, proprio perché appare in tutta la sua dimensione “profetica” e  suscita disagio nel farti riflettere sui pericoli cui siamo esposti anche nella realtà attuale.

Ute: La marcia su Roma: il ruolo di re e Parlamento – La Milano di Gadda.

Riprendendo il tema della “marcia su Roma”, don Ivano ci ha ricordato che Mussolini era già prima del 1922 il capo dei “Fasci di Combattimento” formati in prevalenza da reduci della Prima Guerra Mondiale, scontenti del trattamento ricevuto a fine conflitto.

Al momento della marcia su Roma, che non fu affatto un evento epico, come poi la propaganda fascista lo volle far diventare, Mussolini, ricevendo l’incarico di capo del governo, poteva contare solo sul 7% dei deputati presenti in Parlamento e dovette dunque costituire un governo di coalizione che comprendeva alcuni cattolici di destra e i nazionalisti, ma escludeva socialisti, comunisti e repubblicani. Il suo discorso di insediamento del nuovo governo è molto eloquente: il disprezzo per le istituzioni democratiche trasuda da ogni parola;  è noto infatti  come “discorso del bivacco” per ricordare questo passaggio:

«Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti.
Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.»

Erano quindi evidenti fin da subito le sue intenzioni autoritarie e antidemocratiche, ma il Parlamento gli diede comunque la fiducia, intimorito dalla propria incapacità di far fronte ai problemi del paese e in linea con le pressioni che venivano dal mondo imprenditoriale.

E’ così che si arriva poi all’approvazione della Legge Acerbo, nota come “legge truffa” che riconosceva i due terzi dei seggi in Parlamento al partito che avesse ottenuto il 25% dei voti o comunque il maggior numero di voti. In questo modo si assicurava al partito fascista (che sapeva come condizionare le elezioni) il pieno controllo del Parlamento: l’istituzione del partito unico fu solo il prevedibile passo successivo.

Possiamo perciò dire che Mussolini arrivò alla dittatura (che gli storici fanno iniziare il 3 gennaio 1925 con il discorso sul delitto Matteotti) utilizzando le istituzioni democratiche.

Questo ci dice che la democrazia va sempre difesa, perché è sempre in agguato chi vuole abbatterla in modo subdolo e, apparentemente, indolore.

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LA MILANO DI GADDA – Gadda non amava i Brianzoli, che aveva conosciuto durante i suoi soggiorni nella Villa di Famiglia a Longone al Segrino, ma non amava nemmeno i Milanesi, perché si sentiva emarginato dalla ricca borghesia cittadina fatta di imprenditori che con la cultura in genere e con la letteratura in particolare avevano ben poco a che fare. E’ per esprimere questa sua critica feroce per una borghesia assente dal governo nazionale che il Gadda scrive “Invettiva contro Rusconi” ; in seguito scrive “L’Adalgisa”,  una raccolta di racconti in cui lo scrittore ironizza sui riti della Milano-bene di inizio secolo XX e “incendio in Via Keplero”.

La lezione è stata resa piacevole dalla lettura di alcuni brani tratti dalle opere citate di Gadda dall’Attore Christian Poggioni.

Pomeriggio tra storia e letteratura estremamente interessante.

 

Vittime collaterali.

Ieri sera in seconda serata su Rai1, è andata in onda la terza puntata di “Vittime collaterali” condotta da Emma D’Aquino.

Cliccando sul link qui sopra avrete modo di avere informazioni esaurienti sul tema della trasmissione, tema che mi ha sempre molto interessato e coinvolto: il dramma delle giovani donne cresciute in Italia in famiglie di cultura diversa.

Sono ragazze che vivono in una specie di terra di nessuno: sono andate a scuola in Italia, hanno assorbito la nostra cultura, il nostro modo di vivere, ma in famiglia questa cultura viene osteggiata. Quelle che riescono a soffocare il loro desiderio di indipendenza e libertà, riescono a sopravvivere  costringendosi a sopportare una vita di subordinazione e di umiliazione. Quelle che rifiutano questa prospettiva  vanno incontro a lotte terribili all’interno della famiglia e della comunità e, nei casi più tragici (e la cronaca ne ha riportati parecchi), si arriva anche al “delitto d’onore”.

Per prevenire eventi delittuosi si dovrebbe puntare sull’informazione e sull’educazione, affidando questo compito alla scuola per le nuove generazioni e ai capi delle comunità straniere in Italia per gli adulti. Dovrebbero essere gli Imam ad assumersi la responsabilità di spiegare ai membri delle loro comunità le nostre leggi, il nostro diritto di famiglia, aggiornandoli anche su come si evolve la società nei loro paesi di origine: da sempre gli emigranti conservano nelle loro menti un quadro fossilizzato del modo di vivere del loro paese, mentre in realtà là tutto, come è giusto che sia, si evolve e si adegua alle innovazioni culturali, economiche, sociali.

Bisogna affrontare in fretta questo problema perché anche in questo momento tante donne e tante ragazze vivono situazioni terribili, con sofferenze che provocano ferite profonde nelle menti e nei cuori.