Ute: L’Africa nella letteratura italiana- Africa: condizioni socio- economiche.

Il prof. Galli riprende il suo discorso sulla letteratura italiana al tempo del colonialismo facendo rilevare come le dittature (comando di uno solo) sfocino sempre nel totalitarismo che non si limita all’imposizione di un assetto politico, ma arriva ad imporre un sistema di valori e un modo di vivere.

Il fascismo si proclamava erede della “romanità” e per questo pretendeva il dominio sul Mar Mediterraneo e sulle terre che vi si affacciavano. In quel periodo si intraprende una politica coloniale che, come abbiamo già visto, porta l’Italia a guerre di conquista con alterna fortuna. Contemporaneamente, la produzione letteraria riflette questi avvenimenti e vengono pubblicati molti romanzi e riviste sul tema. I romanzi hanno molto successo, perché si imperniano generalmente su storie d’amore tra militari italiani e belle ragazze africane e questo consente agli autori di raccontare anche situazioni un po’ osé (cosa che non sarebbe stata pensabile in altri contesti). Con le leggi razziali del 1938 che proibivano i rapporti tra italiani e indigeni, la letteratura coloniale tramontò definitivamente.

Tra i molti autori che si sono cimentati in questo genere possiamo ricordare nomi illustri come Riccardo Bacchelli con “Mal d’ Africa”, in cui sostiene il diritto degli Africani all’autogoverno. Mario Tobino nel “Deserto della Libia” denuncia l’impreparazione del nostro esercito; Giuseppe Berto , volontario in Africa, in “Guerra in camicia nera” sostiene la necessità della guerra come valvola di sfogo per la nostra emigrazione; Ennio Flaiano con “Tempo di uccidere” vinse il Premio Strega; Indro Montanelli pubblicò “XX battaglione eritreo” : fascista convinto e volontario in Africa, solo più tardi riconobbe che la guerra era stato un errore. Tra tanti romanzi spicca poi la poesia di Vittorio Sereni che cerca di opporsi all’ermetismo dell’epoca.

Lezione molto interessante tenuta con la solita appassionata competenza.

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AFRICA : CONDIZIONI SOCIO-ECONOMICHE – La prof. Miriam Colombo affronta un tema di non facile soluzione: molto vasto e variegato il continente africano, ma si può comunque tentare una sintesi,

L’agricoltura è certamente l’attività prevalente, ma ha carattere di sussistenza e quindi la produzione alimentare è scarsa anche per l’avanzare della desertificazione e per la carenza di acqua.

Accanto a questa agricoltura a carattere prevalentemente familiare, esiste invece un’agricoltura di piantagione finalizzata all’esportazione a condizioni imposte dai mercati. L’allevamento di animali allo stato brado non è in grado di soddisfare la richiesta di cibo. E’ in atto un deprecabile sfruttamento delle foreste per l’esportazione di legname pregiato.

Uno dei mali più preoccupanti del continente è il LAND-GRABBING : potenze straniere, con la violenza e corrompendo i governi locali, acquisiscono vasti territori da coltivare o di cui sfruttare le materie prime senza nessuna ricaduta per le comunità locali.

L’Africa è il continente meno industrializzato del pianeta pur avendo molte risorse minerarie e potenzialità economiche notevolissime, ma attualmente ancora tali risorse vengono sfruttate da imprese straniere che utilizzano la mano d’opera a basso costo e, spesso, anche il lavoro minorile. Ci sono tentativi di organizzazione tra stati africani per affrontare insieme i tanti problemi del continente.

Alla decolonizzazione cominciata nel secondo dopoguerra (anni 50-60 del secolo scorso) è seguita una generale instabilità politica, dovuta alla mancanza di una vera classe dirigente e al fatto che gli stati nati durante la colonizzazione non corrispondono alle realtà storiche e sociali delle popolazioni locali. Se a questo si aggiungono l’ingerenza delle potenze ex-coloniali e quella delle multinazionali avide di impadronirsi dei tesori dell’Africa si capisce il perché di tante guerre sul suolo africano: in Libia, Nigeria, Repubblica Centroafricana, Somalia, Guyana del Sud. In queste guerre vengono arruolati anche i bambini, che vengono strappati alle loro famiglie.

Un fenomeno ancora molto presente è la mortalità infantile dovuta a carenze ambientali, a malnutrizione dovuta alla povertà, a malattie endemiche.

Esci dalla tua terra …

Si legge nella Bibbia che il Signore Dio disse ad Abramo:

«Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
…”

A queste parole seguiva una promessa di grande prosperità e di un futuro glorioso. E Abramo partì.

Oggi, qualcuno, che si crede molto più in gamba del Signore della Bibbia, ripete lo stesso comando non a un capo-famiglia o a un capo-villaggio, ma a un popolo intero di più di due milioni di abitanti … e con quale prospettiva? Di diventare i “paria” in paesi confinanti che non li vogliono.

Non credo che i Palestinesi possano essere contenti di questa prospettiva… e Trump dovrebbe ritornare in sé e rendersi conto che ancora gli manca qualcosa per diventare onnipotente, onnisciente ed eterno … forse con i suoi soldi e con quelli dei suoi amici , crede che un giorno potrà riuscirci (non credo proprio!!)… ma alla fin dei conti anche lui è solo un uomo che sta vivendo l’ultima parte della sua vita…

Ute: Confini e territorio della Diocesi di Milano – Il lievito madre.

Oggi don Vismara ha continuato il suo breve ciclo di lezioni sulla diocesi di Milano prendendo le mosse da un documento del 1200, scritto da Goffredo da Bussero,

in cui viene raccontata la vita dei santi a cui sono dedicate le chiese della diocesi di Milano. L’elenco presenta alcune lacune, ma vi viene citata la Pieve di Incino e l’altare ivi dedicato a Santa Eufemia. Non è certa l’appartenenza continuativa della nostra Pieve alla diocesi di Milano, infatti c’è chi ipotizza che per un certo periodo essa fosse soggetta alla diocesi di Como.

Tra i personaggi che più hanno lasciato la loro impronta nella storia della diocesi di Milano, spicca certamente S. Carlo Borromeo che fu vescovo di Milano dal 1565 al 1584. La diocesi era in uno stato deplorevole sia dal punto di vista organizzativo che morale e religioso. S. Carlo divise innanzitutto la città di Milano in sei zone affidandone la responsabilità a sei prefetti nominati da lui; divise anche il restante territorio in regioni: Rba faceva parte della V regione insieme a Lecco e Monza.

Attualmente la diocesi è composta da sette zone pastorali, che comprendono 63 decanati e 1.100 parrocchie. La carenza di presbiteri e le mutate condizioni sociali richiederanno ben presto una radicale revisione di tale organizzazione.

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IL LIEVITO MADRE – La dr.ssa Anna Sartori, della rinomata pasticceria di Erba, oggi ci ha parlato di un argomento interessante senza farci mancare il delizioso momento di degustazione che da sempre accompagna i suoi incontri.

Per preservare le caratteristiche peculiari del lievito madre è sorto un consorzio di produttori per portare chiarezza in un ambito che presenta molti motivi di confusione. Tale consorzio si avvale della collaborazione di docenti universitari, i cui studi si stanno concentrando su ciò che, pur essendo invisibile, rende prezioso ogni lievito: i microrganismi che contribuiscono a trasformare parte degli zuccheri in gas e acidi vari rendendo i cibi più gustosi e più digeribili.

Come avviene una degustazione? Naturalmente sono coinvolti tutti i nostri sensi: dalla vista all’olfatto, dall’udito al tatto e, ovvio, al gusto.

Parlando in particolare del panettone, si può dire che esso è un prodotto artigianale quando contiene ingredienti di origine certa, prodotti in quantità limitata il cui costo influisce sul prezzo finale.

Per artigianalità si intende l’abilità di produrre prodotti unici fondandosi sulla propria esperienza. Per ottenere il lievito madre bisogna fare un impasto di acqua e farina, lasciarlo riposare fino alla formazione di lieviti e batteri. Occorre poi una quotidiana e sapiente cura che prevede il “rinfresco dell’impasto tre volte al giorno o il lievito potrebbe “morire”; ciò premesso è evidente che è una lavorazione che richiede elevata professionalità e che non è esente da rischi.

Proprio per difendere gli artigiani che utilizzano il lievito madre e lo producono in proprio è necessario che i loro prodotti siano accompagnati da un certificato che ne attesti il valore intrinseco.

Alla fine di questa dettagliata e interessante spiegazione, la dr. ssa Sartori ha fatto distribuire a ogni socio presente un piccolo vassoio contenente tre assaggi di panettoni: uno industriale, uno semiartigianale e uno completamente artigianale.

Per quel che mi riguarda ho confuso i primi due, ma ho capito senza esitazioni quale fosse quello artigianale per la delicatezza del profumo, per il sapore pieno ma delicato e per la consistenza morbida.

Certamente una bella lezione col proverbiale “dulcis in fundo” Grazie dr.ssa Anna! Grazie UTE!!

UTE: Invito alla lettura di Ben Pastor – Africa: lo schiavismo

La prof. Granata ci presenta sempre nuovi scrittori contemporanei e ieri ci ha parlato di Ben Pastor, pseudonimo di Maria Verbena Volpi , nata a Roma nel 1950 e ora cittadina americana. Negli Stati Uniti ha sposato un militare da cui deriva il cognome Pastor. E’ insegnante universitaria di storia e scienze sociali.

Scrive preferibilmente in inglese. Il suo primo romanzo “LUMEN” viene pubblicato nel 2000. Il protagonista è un militare, come in altri suoi libri successivi, e la trama mischia sapientemente dati storici e ambientazioni accuratissimi con elementi tipici dei romanzi gialli. Altri romanzi: La finestra sui tetti – La voce del fuoco – I misteri di Praga.

Nel 2024 ha pubblicato il primo romanzo scritto in lingua italiana: “la fossa dei lupi” che è la continuazione della storia dei personaggi dei “Promessi Sposi”.

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LO SCHIAVISMO IN AFRICA – Lo schiavismo è un fenomeno che è sempre stato presente in tutto il mondo fin dall’antichità, ma che ha avuto in Africa un’ incidenza particolare. Si diventava schiavi come prigionieri di guerra o per debiti (presso gli Ebrei il Giubileo prevedeva la liberazione degli schiavi).

Tra il ‘400 e il ‘500 i Portoghesi che si erano visti sottrarre dagli Spagnoli lo sfruttamento delle rotte atlantiche verso l’America, si diedero alla circumnavigazione dell’Africa per raggiungere l’Oriente e pertanto costruiscono dei porti lungo le coste africane. In seguito, per prendere possesso dei territori interni ebbero bisogno di mano d’opera locale, che ottennero sottomettendo gli indigeni con la collaborazione di capi-villaggio e di trafficanti arabi. Poi questa abominevole tratta prese la via delle colonie nel nuovo mondo: dal Congo le navi negriere portoghesi partivano per le piantagioni del Brasile. Successivamente Francesi e Inglesi intrapresero lo stesso tipo di “commercio” per rifornire di mano d’opera il Nord America. Gli Arabi partendo dal Sudan deportavano schiavi neri verso l’India e l’estremo Oriente.

Ufficialmente in Europa la schiavitù fu dichiarata fuorilegge nel 1815 col Congresso di Vienna, ma nei fatti essa continuò ad essere praticata e ancora oggi vi sono forme di sfruttamento decisamente assimilabili alla schiavitù.

A questo punto don Ivano ci ha accennato alla nascita dello stato della Liberia, in cui, per un provvedimento legislativo del presidente statunitense Monroe, venivano avviati gli schiavi liberati. Questi, pur rappresentando una piccola minoranza rispetto alla popolazione locale, presero il sopravvento e questo portò poi a una lunga e disastrosa guerra civile, che si è conclusa solo recentemente .

Un altro piacevole pomeriggio offertyo dall’UTE! Grazie!!

Non so voi …

Non so voi, ma le vicende di questi giorni mi stanno turbando.

Un feroce torturatore, colpito da mandato di arresto internazionale, viene arrestato e poi rilasciato immediatamente. C’è chi fa notare che il mandato di arresto sia stato fatto scattare proprio nel momento in cui il ricercato varcava il confine italiano e non prima, quando se ne andava tranquillamente in giro per l’Europa…. ci sarà un motivo?

Non sarà stato un modo per mandare un segnale ai nostri governanti che le alte sfere della UE non gradiscono i rapporti preferenziali stabiliti con l’amministrazione Trump? E’ chiara l’ostilità di quest’ultima verso l’Europa unita ed è chiaro che sta attuando una vecchia politica: quella che i Romani definivano “Divide et impera” cioè metti zizzania tra i tuoi avversari e potrai dominarli facilmente. Quello che la Meloni ritiene un segno di apprezzamento personale è in realtà la mossa subdola di chi vuole eliminare dallo scenario mondiale un competitore, l’ Unione Europea, che, se avesse coscienza delle sue potenzialità tuttora inespresse, potrebbe giocare un ruolo determinante nella politica mondiale.

Io vedo in questi fatti (e temo di non sbagliare) un segno inequivocabile che l’UE si sta disgregando sempre più, che il sogno accarezzato da tanto tempo e per il quale si sono spese tante persone che sapevano leggere il futuro, sta miseramente affondando.

Dal “QUADERNO”: Il racconto di Giorgio

Ecco un altro racconto che fa parte del libro pubblicato per il 30° anniversario dell’UTE.

MIO PADRE: ricordi di guerra e di prigionia (Giorgio Tagliabue)

Antonio Carlo Tagliabue, detto Carlo, è nato a Parravicino d’Erba il 21 luglio1910 ed è deceduto a Erba il 6 luglio 1997 a 87 anni. Ha sempre avuto la residenza ad Albavilla.

Dal 3 settembre 1941, fu inviato sul fronte russo come sergente del 2° Reggimento di Artiglieria Alpina (Tridentina).

Faceva parte del gruppo “Valcamonica” specializzato nelle trasmissioni che si era stabilito nella postazione “Antelao” sul fiume Don.

Durante la ritirata, il 26 gennaio 1943 partecipò alla battaglia di Nikolajewka, ma riuscì a rientrare in Italia. Aveva i piedi congelati e fu ricoverato a Lecco il 15 Aprile del 1943. Richiamato in caserma a Vipiteno, l’8 settembre del 1943 fu catturato dai tedeschi con gli altri commilitoni; caricato su un vagone bestiame fu deportato nella Polonia del nord, vicino al confine russo, nel campo di lavoro e prigionia di Stablak , dopo essere passato per Innsbruck e Königsberg .

Essendo falegname, veniva destinato alla fabbricazione di baracche di le- gno tra patimenti indescrivibili per la fame, il freddo e i soprusi. Mio pa- dre, per vincere i morsi della fame, andava a ricercare le bucce delle patate buttate tra i rifiuti dai tedeschi; un suo amico, per tale “furto”, fu inseguito da un soldato tedesco che lo colpì alla schiena col moschetto con tanta violenza che il poveretto rimase invalido per il resto della sua vita. All’a- vanzata dei Russi, i prigionieri furono mandati al fronte a scavare trincee con pericolo di essere colpiti sia dai russi che dai tedeschi.

Un giorno, mio padre e i suoi compagni di prigionia si erano rifugiati tra i ruderi di un cascinale distrutto, quando sentirono parlare in russo. Allora cominciarono a gridare per farsi riconoscere come italiani e si sentirono rispondere : “Talianski carascov” (italiani amici). Il comandante del drap- pello russo aprì il giubbotto: era una donna e offrì a mio padre e agli altri una bottiglia di vodka che sorseggiarono tra lacrime di gioia.

In seguito fu portato con tutti gli altri internati della zona a Gumbinnen (ora Gusef – Russia), dove era stato organizzato un centro di raccolta di tutti i prigionieri liberati per programmarne il rientro in patria. Lì mio pa- dre ritrovò i commilitoni che provenivano dalla nostra zona e tra questi c’era Armando Nava, il quale in seguito scrisse il libro “Jesau 1943-1945” in cui raccontò quei duri anni di prigionia.

Da Gumbinnen, dopo tante peripezie, rientrò a casa, tra gli ultimi reduci, il 12 ottobre1945. A Carcano, frazione di Albavilla, lo avevano già dato per disper- so ed era già stata celebrata una messa in suo ricordo, ma quel giorno arrivò, a piedi vicino a casa, un poveretto malconcio che cercò di abbracciare mio

fratello Dante, ma questi, spaventato non riconoscendo il padre, raccolse dei sassi e glieli tirò addosso. Era finalmente a casa!!!

Da quel momento ricominciò a vivere una vita fatta di lavoro e di felicità per gli affetti e la libertà ritrovati. Ogni volta che sentiva il valzer “Il bel Danubio blu” gli tornava alla mente di aver intravisto con angoscia quel grande fiume dallo spioncino del carro bestiame che lo aveva portato verso una destinazione ignota come “schiavo di Hitler”

Tutti gli anni ad Asso si ritrovavano i reduci dal campo di Gumbinnen per ricordare le sofferenze del passato e per celebrare una messa a suffragio di quelli che non hanno fatto ritorno. Io ricordo che mio padre mi portava spesso con sé, quando ero bambino, per andare a visitare quel suo compagno di prigionia rimasto invalido per aver rubato una buccia di patata.

UTE: Confini e territorio della Diocesi di Milano – Il gemello di Olonia: romanzo degli ebrei di Tradate.

Don Alessandro Vismara, parroco di Buccinigo, è tornato oggi in Sala Isacchi per parlarci della diocesi più grande d’Italia, cioè della Diocesi di MIlano.

Le sue origini risalgono alle origini del Cristianesimo, quando la nuova religione si andava diffondendo soprattutto tra le comunità giudaiche della diaspora nelle città. A Milano ( nel IV secolo era già la più importante del nord-Italia ed era molto popolata) c’era un folto gruppo di Ebrei che costituirono il primo nucleo di fedeli.

Il Vescovo della città aveva sia il potere religioso che quello civile, ma la diocesi non aveva un territorio definito e il vescovo guidava i fedeli che vedevano in lui un punto di riferimento. Sant’Ambrogio nominò tra gli altri anche i primi vescovi di Como, Novara, Torino. Questi vescovi erano detti suffraganei perché avevano diritto di voto nelle assemblee convocate dal Vescovo di Milano, detto anche Metropolita, che veniva da tutti riconosciuto come guida.

La configurazione del territorio della diocesi è andata via via delineandosi nel corso dei secoli e la sua espansione fu limitata a sud dalle diocesi di Lodi e Pavia mentre a nord si spinse fino in territorio svizzero, dove ancora esistono delle enclave di rito ambrosiano. Una nota particolare merita il territorio di Campione, che fu oggetto di un lascito da parte di Totone da Campione al Vescovo di Milano (784 d.C). L’arrivo dei Longobardi fu un periodo di grandi distruzioni, poi, una volta convertitisi al Cristianesimo, il loro comportamento divenne più moderato.

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IL GEMELLO DI OLONIA – Mario Alzati è uno storico diventato poi scrittore di romanzi.

Nel libro che oggi ha presentato in Sala Isacchi racconta una storia vera, come tutte le vicende contenute nei suoi libri; racconta le vicende di un ragazzo chiamato Angioletto.

Lui non voleva fare il contadino come suo padre e divenne garzone del panettiere del paese. Un giorno venne a sapere di essere stato adottato e, dopo lunghe ricerche, scoprì una realtà che lo turbò profondamente. Molti anni prima, una ricca coppia di sposi non poteva avere figli; il marito propose alla moglie di trovare una donna che accettasse di farsi mettere incinta da lui dietro compenso. Dopo i primi tentennamenti la moglie accettò e la donna prescelta partorì due gemelli: la cosa non era prevista e uno dei due neonati venne affidato all’orfanatrofio, mentre l’altro venne cresciuto ed educato e diventò un importante imprenditore. Quel bimbo era proprio Angioletto che, venuto a conoscenza di questa storia, si sentì vittima di una profonda, crudele ingiustizia e pensava che la sua vita fosse inutile, ma il parroco del paese gli offrì un’occasione per dare un senso alla esistenza: poteva aiutare degli Ebrei scappati da Milano per cercare di varcare il confine con la Svizzera …

E’ da questo punto del romanzo che prende il via una serie di storie imperniate sulle vite di questi ebrei che Angioletto, il parroco e il capostazione di Tradate riescono a salvare dai campi di concentramento.

Se cercate dove sia Olonia, non la troverete: è il nome che avrebbe dovuto avere la città risultante dalla fusione di due comuni vicini: Gorla Maggiore e Gorla Minore; ma l’ostilità verso questa prospettiva da parte degli abitanti dei due paesi, convinse le autorità a lasciare le cose come stavano. Olonia è il nome di una città che non è mai diventata realtà.

Film: La venticinquesima ora

E’ un vecchio film interpretato da un giovane Antony Quinn e da una giovanissima Virna Lisi (bellissima anche senza un filo di trucco).

Narra le vicende di un contadino rumeno che viene internato in un lager perché ritenuto ebreo; lui protesta di non sapere delle sue origini ebree, ma non viene ascoltato. Dopo varie peripezie, uno pseudo-scienziato tedesco, esaminando i suoi tratti somatici, lo ritiene invece il tipo che rappresenta al meglio la “razza ariana” e allora lo arruolano nella Gestapo e la sua immagine campeggia su ogni giornale e su ogni rivista pubblicati in Germania e nei territori occupati. Per questo quando la guerra finisce, viene processato dal tribunale di Norimberga dove risulta evidente che non può essere che una vittima di eventi più grandi di lui.

Come detto, il film è vecchio, ma afferma una tesi valida da sempre per tutte le guerre che siano state combattute nella storia dell’umanità: i poveri, gli umili, subiscono le conseguenze di eventi che non hanno voluto e che spesso non riescono a capire; sono le vittime innocenti di giochi di potere decisi nelle stanze dei bottoni senza tener conto del prezzo di tali mosse in vite umane e in sofferenze; da qualunque parte essi si trovino (vincitori o vinti) sono sempre povere marionette manovrate da mani che restano candide pur grondando sangue.