Film: Una volta nella vita.

Chi legge questa mia pagina sa che non ho la pretesa di fare recensioni, ma solo di raccontare storie cinematografiche che mi hanno emozionato. Ieri su Rai Play ho visto appunto un film che  racconta una storia vera e che mi ha toccato profondamente. Forse il mio apprezzamento è dovuto al fatto che è ambientato in una scuola e a quel mondo io mi sento ancora molto legata.

Siamo in Francia e la prof. Gueguen che insegna storia, geografia e arte, si trova a dover affrontare una classe particolarmente difficile, composta da ragazzi (siamo in una scuola superiore) provenienti da famiglie disagiate. I primi approcci sono molto difficili: i ragazzi non si interessano affatto alle materie di studio, irridono i vari insegnanti che si alternano nelle ore di lezione, mancano loro di rispetto in mille modi e spesso la classe è turbata da episodi di aggressività e violenza.

La prof. Gueguen tenta un approccio diverso dal solito e propone un’attività complementare facoltativa: la partecipazione a un concorso sul tema della “Shoa”. I ragazzi devono fare delle ricerche e lavorare in gruppo. Inizialmente la proposta viene accolta con un po’ di diffidenza, poi via via l’interesse cresce e i ragazzi raccolgono foto, documenti giornalistici, testimonianze di sopravvissuti, visitano musei dedicati al tema della loro ricerca e leggono libri suggeriti dall’insegnante. I ragazzi lavorano di buona lena pertanto non ci sono più problemi di disciplina;  imparano a collaborare tra loro mettendo in comune il frutto del loro lavoro. Anche i più ribelli alla fine si uniscono ai compagni e danno il loro contributo.

Il finale si intuisce da subito: la classe vince il concorso e quei ragazzi, che costituivano un problema per la scuola e per la collettività e che sembravano non avere speranze di riscatto, riescono a conseguire il diploma e ad avere così una speranza di potersi inserire in modo costruttivo nella società. Quel concorso ha dato loro la possibilità “una volta nella vita” di emergere e di sentirsi vincenti.

Questo film mi ha fatto pensare a quanto sia importante il lavoro degli insegnanti e quanto sarebbero da gratificare e incoraggiare quelli tra loro che più si impegnano per dare ai ragazzi la possibilità di esprimere tutte le proprie potenzialità, nella consapevolezza che  ogni individuo ha dei talenti da valorizzare anche nelle condizioni più svantaggiate.

I ricordi più belli della mia vita da insegnante sono proprio legati ai ragazzi con maggiori problemi: quando ottieni qualche risultato insperato, provi la soddisfazione di essere stata utile e capisci il senso delle tue fatiche.

 

UTE: la donna nella Russia medioevale (Sintesi di A. D’Albis) – Il conflitto russo- ucraino (Sintesi di Diana)

La professoressa Chiesa introduce la sua lezione sulla condizione della donna nella Russia medioevale con un inquadramento storico della nazione Russia.

Ci dice che il termine “Rus” e di origine finnica e che significa “uomo venuto d’oltremare”. La Rus di Kiev, infatti, fu fondata da popolazioni scandinave. Fu soprattutto la famiglia Rurikidi che iniziò la sua dinastia nell’842 su un territorio, che fu successivamente chiamato “Rus’ di Kiev”, perché comprendeva una parte dell’attuale Ucraina e aveva come capitale Kiev. Successivamente, sotto il regno di Vladimiro I si ebbe l’unificazione dello Stato. Vladimiro salì al trono nell’988 e subito dopo si convertì al Cristianesimo ortodosso. La sua conversione fu dovuta alla necessità di mantenere buoni rapporti con l’impero bizantino ortodosso e il matrimonio con Anna, sorella dell’imperatore di quell’impero.

Vladimiro obbligò tutta la popolazione a convertirsi e quando morì, nel 1055, era già venerato come Santo, prima di essere canonizzato. Ora è venerato sia dalla chiesa ortodossa che da quella cattolica. Dopo Vladimiro I salì al trono suo figlio Jaroslav. Costui, a differenza del padre che era analfabeta, ebbe la possibilità di studiare e contribuì a sviluppare culturalmente la nazione, oltre a capire l’importanza di instaurare alleanze con gli stati europei attraverso un’accurata politica matrimoniale. Alla sua morte la “Rus’ di Kiev” cominciò a declinare e si alternarono periodi di instabilità ad altri un po’ più stabili, fino a giungere alla invasione dei tataro -mongoli che portò morte e distruzione in tutto il paese. 

Dopo questa introduzione, la professoressa ci descrive la condizione della donna in Russia partendo dalla preistoria. In questo periodo la popolazione era divisa in Clan. La donna, poiché madre, e quindi simbolo di fertilità, aveva un’alta considerazione sociale. Nonostante i matrimoni fossero stipulati per instaurare alleanze e non per amore, c’era parità tra i due sessi e la donna svolgeva un ruolo anche politico all’interno del suo villaggio. Inoltre, se anziana, diventava un punto di riferimento importante.

C’erano anche le donne “guaritrici”, che conoscevano gli effetti sulla salute delle erbe medicinali, ma che, oltre a curare il corpo, si interessavano anche del benessere dello spirito con preghiere e altre pratiche religiose. Esse curavano anche gli animali. Una nota negativa riguardava le vedove che, quando moriva il marito, venivano bruciate con lui.

In tutto il territorio della “Rus di Kiev” e per parecchi secoli, la condizione della donna era stata molto favorevole. Nella storia del Medioevo russo, dal X secolo al XIV secolo, l’attività sociale della donna invase l’attività maschile. Le donne potevano avere proprietà e gestirle, potevano aggregarsi alle attività dei mariti e, alla loro morte, divenirne titolari. Poi ci furono donne ambasciatrici o che governavano indipendentemente i loro principati.

Poiché il matrimonio era un contratto, esse erano libere anche sessualmente, quindi potevano avere amanti come i loro mariti. Alcune nobili donne capirono che per esercitare il potere bisognava essere istruiti e fondarono scuole per nobildonne. 

Con l’avvento del Cristianesimo, queste prerogative a favore delle donne andarono a poco a poco perse. Il matrimonio , da contratto stipulato tra i due sposi, divenne un affare della Chiesa. A poco a poco, nei vertici ecclesiastici, cominciò a serpeggiare una certa avversione verso la donna (MISOGINIA), che portò lentamente la donna a essere relegata al solo ruolo di moglie e di madre e a perdere tutti i suoi diritti. Con Ivan IV il Terribile, primo zar di Russia, le donne persero definitivamente tutti i diritti.

Sotto il suo regno venne scritto e divulgato il “Domostroj”, una specie di galateo che dava rigide regole di comportamento per dare alla società un modello patriarcale in cui la donna non aveva nessun diritto, era relegata in casa, sottomessa al marito e vittima di violenza.Solo nel XVI secolo, con il regno di Pietro il grande, le donne riconquistano valore. Infatti, nel 1724, Pietro il Grande associò Caterina, sua moglie, al trono, che diventò Zarina.Dopo Caterina, per 67 anni, si susseguirono sul trono della Russia altre Zarine (Anna; Elisabetta; Caterina II) Queste donne ribaltarono il ruolo della donna in Russia.

Durante l’Illuminismo vennero fondate parecchie scuole per donne. Con l’ascesa al trono di Alessandro II, si ebbe una regressione. Le donne russe riuscirono a raggiungere l’apice dell’istruzione con l’iscrizione all’Università, solo nel XIX secolo.

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Prima di affrontare il tema specifico della lezione, il prof. Cossi ritiene di dover fare un breve excursus sulla storia della Russia, richiamando, a grandi linee, la storia della Russia, partendo però da Pietro il Grande, lo zar che per primo cercò di dare un’identità al popolo russo. Infatti, dopo il suo viaggio in Europa (di cui abbiamo già parlato in precedenti sintesi) egli introdusse numerose riforme tendenti a limitare potere della Chiesa ortodossa, per questo arrivò a costringere gli uomini a tagliare  barba e baffi, cosa prima proibita per motivi religiosi. Dopo Pietro il Grande, come già detto, seguirono 67 anni in cui il potere fu detenuto da zarine; l’ultima e più importante di esse fu Caterina II, che spodestò il marito e forse lo fece uccidere; ebbe però il merito di accogliere le idee illuministe tranne quella della necessità di una Costituzione. Suo figlio, governò ben poco, ma cercò di cancellare tutte le riforme introdotte dalla madre, che odiava profondamente.

Nel 1801 salì al trono Alessandro I, che avrebbe voluto introdurre riforme per ammodernare lo Stato, ma temendo la reazione dei nobili non ne fece nulla, anzi instaurò un regime poliziesco.  Anche Nicola I, salito  al trono nel 1825, tentò di abolire la servitù della gleba, ma incontrò una forte opposizione dei proprietari terrieri. Anche in Russia arrivò lo spirito rivoluzionario che nel 1848 scosse tutte le capitali europee, ma ogni tentativo di protesta fu represso. Proibì gli studi umanistici e fece suo il motto: Ortodossia – Autocrazia – Popolo. Lo Zar doveva essere riverito e temuto come rappresentante di Dio sulla terra e come interprete della volontà del popolo. Contrappone all’Europa corrotta la “purezza” della Russia.

Qualche tempo dopo,  anche Dostoevskij viaggiando per l’Europa fu molto deluso nel constatare come gli Europei fossero senza ideali e rincorressero solo il denaro.

 

Parlare di guerra per parlare di pace…

Ieri sera al teatro Excelsior, Nello Scavo e Lucia Capuzzi, due giornalisti di “AVVENIRE”, ci hanno raccontato le loro esperienze nei paesi più tribolati del nostro mondo.

Nello Scavo ha raccontato, quasi con pudore, la crudeltà e le atrocità della guerra in Ucraina, dove si è recato di persona, e ci ha fatto veramente sentire l’assurdità di una guerra a cui ormai ci stiamo un po’ abituando e che stiamo vivendo a volte come un video-gioco davanti alla TV. Parlando poi di migrazione ha ben spiegato come dietro al traffico di esseri umani , si nascondano interessi molto ampi e complessi e come sia insensato negare i diritti essenziali a tanta parte di umanità: alla fine negare i diritti porta solo a creare ingiustizie che prima o poi presentano il conto. Scavo ha parlato anche della guerra dei Balcani, la sua prima missione (come free-lance, per dirla con un eufemismo di moda oggi, o come “spiantato, disoccupato della comunicazione” come ha detto lo stesso giornalista). E a questo proposito ha testimoniato come la pace in quelle zone, tra Kosovo e Serbia, sia fragile… La guerra ha  lasciato dietro di sé uno strascico di odio e rancore tale, che nemmeno trent’anni di “pace” (ma forse è più giusto dire armistizio lungo trent’anni) sono riusciti a far dimenticare e che si tramanda alle nuove generazioni come una tragica, feroce eredità.

Lucia Capuzzi, innamorata del Sud America, ma recentemente inviata in Afghanistan, ci ha parlato della lotta delle donne afghane, private ormai di ogni diritto, nel silenzio più totale dei media occidentali. La missione di portare la democrazia a suon di bombe è fallita, tanto vale lasciare quel disgraziato paese al suo destino e alla sua povertà disperante. Nelle strade del sud del paese si vedono solo uomini: le donne sono relegate in casa e non hanno diritto a uscire nemmeno accompagnate; a Kabul girano per le strade come fantasmi, avvolte nei burqa, ma non possono andare al parco e nemmeno possono accedere alle università. In Iran poi è in atto una repressione feroce contro le donne e contro tutti coloro che le sostengono. (Bene ha fatto Mattarella ieri a parlare con chiarezza all’ambasciatore iraniano). E cosa dire delle popolazioni indigene dell’Amazzonia che stanno lottando per la loro sopravvivenza contro la deforestazione portata avanti con insensata pervicacia da Bolsonaro?

Entrambi i due coraggiosi giornalisti, dopo aver raccontato tanti orrori, hanno anche raccontato episodi che autorizzano a nutrire la speranza: in mezzo anche alle situazioni più dolorose, ci sono sempre uomini e donne che continuano a lottare contro le violenze e a piantare semi di speranza: è questo che deve darci lo stimolo a essere anche noi, nel nostro piccolo, costruttori di pace.

P.S.: Grandi applausi hanno accompagnato gli interventi dei due coraggiosi  giornalisti, ma il più sentito, almeno da me, è stato quello indirizzato a Lucia Capuzzi quando Nello Scavo ci ha detto che lei, dopo essere stata fermata e imprigionata dai talebani, una volta liberata non è fuggita dal paese, ma è rimasta fino ad ottenere una lettera di scuse dal governatore locale. Dobbiamo essere molto grati a giornalisti dello stampo dei nostri due relatori, ci permettono di conoscere realtà lontane consentendoci di valutarle e di prendere posizione , schierandoci dalla parte della giustizia.

Dice Daniel Goleman…

Ho sentito parlare di Daniel Goleman dalla dr.ssa Lucia Todaro nella sua ultima lezione all’UTE e mi è venuta la curiosità di saperne di più.

E’ così che ho acquistato il libro “Lavorare con intelligenza emotiva” di cui riporto qui alcune righe:

La motivazione ad affermarsi e a lasciare il proprio segno nel mondo è più pressante quando abbiamo tra i 20 e i 50 anni.  Però intorno ai 45/50 anni la gente rivaluta i propri obiettivi …perché arriva una riconsiderazione di ciò che conta realmente nella vita. …. Raggiunta la mezza età, ci sono moltissimi alti dirigenti o avvocati (di successo ndr) che vorrebbero invece impegnarsi nel sociale o aprire un ristorante ….. o gestire una piccola azienda. Ma il loro vero lavoro li annoia.

Quando si comincia a pensare che buona parte della propria vita è ormai alle spalle, vale la pena davvero di riscoprire i veri valori della vita e cercare gratificazione nelle piccole cose di ogni giorno e  negli affetti delle persone care.

In altra parte del libro vengono illustrati i difetti più comuni tra i dirigenti di un certo livello e tra questi difetti c’è anche il bisogno di apparire perfetti, che porta a rifiutare ogni critica, anche quando questa è realistica e documentata e ad incolpare gli altri dei propri errori o fallimenti. Non deve essere facile dover collaborare con dirigenti di questo tipo: stress e frustrazioni sono inevitabili!!

 

UTE: : Il ciclo dei Rougon Macquart – Cosa sapere del Diabete.

Emile Zola è certo uno degli scrittori più significativi dell’800 francese. Nato a Parigi da padre di origine veneta nel 1840, vive per i primi anni ad Aix en Provence. Alla morte prematura del padre la famiglia si trova in difficoltà economiche e a 18 anni si trasferisce a Parigi con la madre; lì  comincia a collaborare con vari giornali e riviste. E’ conosciuto sia per i suoi numerosi romanzi che per la sua posizione nell’affare Dreyfus (famoso è il suo J’ACCUSE )

Nel 1868 pubblica il suo primo romanzo, “Thérèse Raquin” col quale vuole affermare la sua impostazione “scientifica”: il contrasto tra natura sensuale e natura nervosa dei due protagonisti.

In quel periodo in Francia si sta affermando il POSITIVISMO di Comte che afferma la necessità di seguire la razionalità scientifica e per scienza si intende soprattutto la medicina (si intensificano le autopsie e gli studi anatomici, vengono introdotti i primi vaccini, si contrastano le epidemie). L’importanza della figura del medico si sostituisce a quella del sacerdote. Salute fisica e salvezza dell’anima sono in contrapposizione.

Zola è il caposcuola del “Naturalismo” francese, che propugna il rifiuto del soprannaturale e del metafisico e incentra tutto sulla fisicità, sugli appetiti e sull’ aggressività. Su questo tema è basata la sua opera “la Bestia umana”, in cui si sente l’influsso delle teorie di Darwin: l’uomo non è creatura a immagine di Dio, ma solo uno dei tanti rami in cui gli esseri viventi si sono sviluppati ed evoluti. In questo periodo si affermano anche gli studi sull’ereditarietà di Mendel.

Nel 1871 comincia la pubblicazione dei romanzi appartenenti al CICLO dei ROUGON-Macquart in cui lo scrittore intende descrivere la società francese nel periodo del II impero (Napoleone III). Il Ciclo si compone di 20 romanzi nel primo dei quali, “L fortuna dei Rougon” , viene evidenziata la preponderanza degli appetiti individuali e l’ansia di inseguire i piaceri.

Il prof. Porro ha dovuto a questo punto interrompere la sua lezione per un imprevisto senza gravi conseguenze.

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LA DOLCE VITA COL DIABETE.

La dr.ssa Laura Molteni, responsabile del centro diabetologico dell’ospedale di Erba, ci parla deIla malattia  di cui si occupa già da tempo.

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata da elevati livelli di glucosio nel sangue, dovuti ad un’alterata funzione dell’insulina (prodotta dal pancreas). E’ una malattia molto diffusa nel mondo e si prevede che lo sarà ancora di più nel futuro . L’incidenza della malattia aumenta con l’avanzare  dell’età.

I sintomi più eclatanti sono la sete insaziabile, l’abbondante produzione di urine e la perdita di peso, ma la malattia può restare a lungo allo stato latente senza presentare sintomi di rilievo, ma anche in questa situazione può portare danni a vari organi. Spesso viene sottovalutata la sua pericolosità, ma è spesso causa di morte.

Vi sono due tipi di Diabete: Il diabete di tipo 1 è abbastanza raro, può insorgere ad ogni età ed è una malattia autoimmune; al giorno d’oggi esistono cure efficaci che consentono al paziente una buona qualità di vita. Il diabete di tipo 2 è abbastanza frequente e insorge dopo i 40 anni, perchè il nostro corpo utilizza male l’insulina, spesso a causa di una cattiva alimentazione.

L’obesità è tra le più importanti cause di diabete. E’ importante fare esami per testare la presenza della malattia soprattutto se si è in sovrappeso, se si conduce una vita sedentaria e se c’è rischio derivante dall’ereditarietà.

La glicemia alta comporta gravi complicazioni a livello del sistema cardiovascolare, a carico degli occhi, dei reni e disturbi gravi a carico dei nervi di mani e piedi. Gravi conseguenze si hanno in presenza di piede diabetico (rischio di amputazioni).

Le cure oggi disponibili sono molto efficaci e sono tanti i farmaci disponibili per controllare la malattia, ma è determinante la partecipazione del paziente alla cura. Il diabete è pericoloso come il cancro.

Questa è stata la prima lezione della dr.ssa Molteni e ottima è l’impressione che ha suscitato in me e  credo anche nei presenti: un’esposizione chiara, efficace e un simpatico modo di esporre i contenuti. Grazie , dottoressa!

Per salutare Rosangela.

rosangela ColomboOggi , con Lalla e Marirosa, ho partecipato alla messa funebre della sorella di don Ivano, Rosangela Colombo. Quando siamo arrivate nella chiesa parrocchiale di Galbiate, la messa stava per cominciare e la chiesa era ormai strapiena, tanto che abbiamo trovato posto solo in un locale adiacente.

Ci siamo sentite in dovere di presenziare per testimoniare a don Ivano, preziosissimo collaboratore dell’UTE, la vicinanza nostra personale e quella di tutta l’associazione.

Con la sua omelia,  don Ivano ha tratteggiato un ritratto così vivo e sfaccettato della sorella Rosangela, che mi pare di averla sempre conosciuta, anche se non ho mai avuto la fortuna di incontrarla. Era una donna semplice, sensibile, sempre disponibile ad aiutare, soccorrere, stare vicino a ognuno che ne manifestasse il bisogno, nel segno di una fede tenace e profonda. E’ stata “madre” di tanti anche senza aver avuto una famiglia sua.

Come ho detto c’erano tantissime persone a darle l’ultimo saluto e a pregare per lei, ma forse Rosangela non ha più bisogno delle nostre  preghiere: ora sarà nella gloria dei Cieli e sarà certo lei a pregare per tutti quelli che la ricordano con affetto e gratitudine.

Strage di Erba: registrazioni inequivocabili.

Dopo 16 anni si torna a parlare ancora una volta della strage di Erba e della richiesta degli avvocati di riaprire il processo.

Mi sembra solo una mossa per far parlare di sé e per occupare qualche colonna di giornale con qualche articolo che attira sempre l’attenzione dei lettori: più le storie sono macabre, più solleticano la curiosità morbosa della gente. Io, che abito forse a 500 metri in linea d’aria dal luogo in cui sono avvenuti quei tragici fatti, non ho mai voluto nemmeno sapere in quale palazzo siano stati perpetrati e quando passo nella zona schiaccio l’acceleratore.

Penso che sia proprio in coincidenza di questo rinnovato interesse, che sul sito del quotidiano locale “La Provincia di Como” vengono pubblicate le registrazioni degli interrogatori di Olindo e Rosa. Esse contengono inequivocabilmente la prova della loro colpevolezza: le testimonianze, rese separatamente durante gli interrogatori, evidenziano particolari che solo chi ha compiuto quei gesti può conoscere e confermano che i due accusati hanno agito insieme. A questo link potete trovare l’ultima registrazione pubblicata (la terza). Basta ascoltarne anche solo qualche minuto  per convincersi di quale sia la verità dei fatti.

Sempre in attesa…

Come è difficile essere madre! Vorresti proteggere i tuoi figli da ogni dispiacere, da ogni avversità e ti ritrovi impotente con le mani inutilmente protese mentre li vedi in preda all’affanno.

Poi la vita se li porta con sé, lontano, e tu puoi solo pregare perché siano felici, perché la loro strada sia quella giusta, che non si smarriscano … e cerchi sempre di tenere accesa la “luce” di casa perché sappiano che in ogni evenienza qualcuno li sta aspettando.