TV: CLAN: scegli il tuo destino.

Su Raiplay ho potuto vedere la serie televisiva intitolata “CLAN: scegli il tuo destino”.

Francesco è nato a Scampia in una famiglia di camorristi: il padre è latitante, il fratello ricopre un ruolo nella riscossione del “pizzo” e la madre ritiene che anche Francesco debba seguire la stessa strada. Un giorno Francesco e un suo compagno scippano un orologio prezioso a un automobilista fermo al semaforo. Inseguito dalla polizia si rifugia nel cortile della scuola; lì un professore scopre quello che ha fatto e lo pone davanti a una scelta: o accetta di frequentare la palestra di Maddaloni (un ex judoka) o sarà denunciato.

Francesco comincia a frequentare la palestra e il gruppo di ragazzi che già vi si allenano; il ragazzo trova lì un ambiente sano, dove osservanza delle regole e rispetto reciproco sono patrimonio comune. Questo però non piace al fratello che arriva a bruciargli il judogi (la “divisa del judoka) e addirittura a cacciarlo di casa quando per partecipare a una festa in palestra lascia il suo posto di “sentinella” permettendo così alla polizia di fare una retata.

La vita di Francesco diventa sempre più difficile, schiacciato tra le minacce del fratello e il richiamo di una vita diversa, fatta di amicizia, di buoni sentimenti, di lealtà.

La morte di un amico che fuggiva dopo aver rubato una moto, getta Francesco in un baratro di dolore e di sensi di colpa, ma è da quel dolore che gli verrà la forza per scegliere finalmente il suo destino e staccarsi definitivamente dal mondo della camorra.

Questa serie è stata prodotta da RAIKIDS ed è quindi stata pensata, ispirandosi a una storia vera, per i telespettatori più giovani ai quali può insegnare come ognuno sia artefice del proprio destino e come in ogni situazione ci sia sempre un’alternativa: sta ad ognuno di noi fare la scelta giusta e decidere quale strada seguire.

Ricordo.

ERa arrivata mia sorella suora dalla Thailandia e tutto il parentado si era ritrovato a casa dei miei. Giovanna era l’ultima nata. Ecco cosa scrive Grazia sotto questa foto pubblicata su Facebook:

Graz RapGuardando questa foto mi mancano i nonni e gli zii e tutti i cugini. Sarebbe bello tornare indietro nel tempo per uno di quei pranzi della domenica tutti intorno al tavolo coi tortellini in brodo fatti in casa, il pollo in padella e l’insalata di radicchio fresca dall’orto. Per non parlare del pane arrotolato e della crostata di marmellata o del budino di uva che ai tempi ci sbafavamo ignare del glutine maledetto. E il lambrusco con l’ acqua? E poi le giocate a carte nel soggiorno coi mobili rosa Big Buble? Essendo sempre stata un po’ a disagio con il rumore della gente che parlava in casa (rimbombava) mi ricordo che facevo spedizioni solitarie fuori in giardino, dopo la tenda il sole cocente di mezzo giorno e l’afa non me le potro’ mai scordare. Andavo anche in ‘bugadera’ a spiare i canarini e poi scappavo perche’ mi facevano paura. O andavo di sopra e aprivo la porta della stanza da letto dei nonni che ho sempre sentito proibita. Mi piaceva l’odore di pulito e di naftalina che veniva dalle lenzuola e dai mobili. Per non parlare della stanza della bisnonna tutta piena di scatole e robe vecchie. Ecco ho condiviso la mia parte di felicita’.

E la risposta di Giovanna:

Erano i tempi in cui bastava dire”mamma” e tutto si risolveva.

E io aggiungo: Erano i tempi in cui potevo proteggere le mie bimbe (Paolo non era ancora nato), fare il possibile per farle sentire al sicuro …. poi ” la vita separa quelli che si amano” (parole tratte da “Les feuilles mortes) e una mamma può solo soffrire in silenzio, da lontano per le fatiche e le difficoltà che inevitabilmente i figli vivono.

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Estate in oratorio.

Stamattina, dopo la celebrazione della Messa, i ragazzi che si sono offerti per animare l’oratorio estivo hanno ricevuto il mandato della comunità parrocchiale, che affida a loro (e agli adulti educatori ) i bambini e i preadolescenti che troveranno in oratorio un porto sicuro ove trascorrere parte delle loro vacanze estive.

E’ questa una iniziativa che trova il favore delle famiglie: se mamma e papà lavorano a chi affidare i propri figli, se non ci sono nonni o altri congiunti che possano occuparsene?

L’oratorio estivo viene dunque a offrire una soluzione a un problema molto sentito. Oltre ai ragazzi (forse 40?) che animeranno le varie attività, c’è anche un buon numero di adulti volontari che collaborano per i vari laboratori e per seguire i bambini durante le ore dedicate all’esecuzione dei compiti delle vacanze.

Nella foto qui sotto: gli animatori eseguono una danza al ritmo del canto che sarà il leitmotiv dell’oratorio estivo di quest’anno.

A tutti va la gratitudine e il plauso dell’intera comunità.

Il paesaggio nella pittura.


Nelle sue ultime lezioni la prof. Emanuela Beretta ci ha proposto la storia del paesaggio nella pittura, partendo dal Medio Evo fino al paesaggio “silenzioso” di Morandi.

La parola paesaggio viene usata per la prima volta da Tiziano Vecellio nel 1552 in una lettera inviata a Filippo d’Asburgo; prima si parlava solo di sfondo o di paese.

La natura, nel Medio Evo è vista con timore, perché piena di pericoli; solo la natura ordinata dall’uomo è benigna, infatti nel Decamerone è il giardino il luogo in cui si cerca la salvezza. Nella pittura medioevale la natura resta sullo sfondo.

E’ nel 1400 che l’arte comincia a interessarsi al paesaggio e studia la natura che avvolge le figure ritratte nel dipinto, ma non c’è ancora un’ambientazione nello spazio intesa come prospettiva.

Nella pittura fiamminga il paesaggio diventa realistico viene arricchito dalla prospettiva e da particolari minuziosi: diventa uno spazio in cui gli uomini vivono, ma manca l’atmosfera.

In Mantegna , “Orazione nell’orto” i personaggi si inseriscono perfettamente nel paesaggio; in Tiziano poi esso tende a prevalere sulle figure ritratte: i personaggi infatti sono inseriti in paesaggi selvaggi e realistici. Nella sua opera “Ascensione”, Tiziano rappresenta paesaggi sfumati molto moderni.

Quando nell’800 furono inventati i tubetti di colore, facilmente trasportabili, dilagò la pittura “en plein air” con la riproduzione di paesaggi dal vero che spesso vogliono rappresentare anche gli stati d’animo e le atmosfere che pervadono la scena dipinta.

Nell’ultima sua lezione di questo Anno Accademico, la prof. Beretta ci ha portato in pieno ‘900 per parlarci di un pittore solitario e anomalo nel panorama artistico del suo tempo: Giorgio Morandi. Egli ricerca linguaggi nuovi, poiché si trova a disagio sia con l’arte ottocentesca sia con quella futurista o metafisica, dalle quali si discosta ben presto.

Si dedica allo studio della tradizione artistica italiana e toscana in particolare ( Giotto, Piero della Francesca… ), ma si rifà anche a Fattori, Corot e Cezanne. Della pittura medioevale analizza colori, forme e disposizione dei volumi; non ama invece le figure troppo vistose, troppo vigorose, titaniche e retoriche. Ama piuttosto le linee semplici e i colori non aggressivi. I suoi paesaggi sono pervasi da un’atmosfera silenziosa, intima, delicata, raffinata. Ricerca la semplicità e l’essenzialità delle linee e delle forme e dipinge sempre dal vero.

Ha vissuto quasi tutta la vita a Bologna con le sorelle, ma quando il cortile su cui si affacciava la finestra da cui vedeva il paesaggio che amava dipingere fu occupato da nuove costruzioni, si trasferì a Ghizzana sull’Appennino Tosco-Emiliano. Quel piccolo, povero, sconosciuto angolo di mondo è diventato, grazie ai dipinti in cui lo ha riprodotto, un luogo da visitare per chi intende comprendere la pittura di Morandi.



Sanità: la grande malata…

In questi giorni ho accompagnato più volte una mia amica, che ha diversi problemi di salute, da un ospedale all’altro, in cerca di una visita specialistica che le consenta di risolvere un problema già acclarato qui nell’ospedale di Erba, ma che qui a Erba non è risolvibile… Ci vuole un’altra visita oculistica, nell’ospedale a cui si richiede la prestazione, che autorizzi le cure, di cui è già stata accertata la necessità.

Ogni volta la mia amica si sente rispondere che se ne parlerà nel 2025 !!! La poveretta allora chiede una visita a pagamento, ma anche così bisogna aspettare almeno tre mesi …

Ho cercato di capire e mi pare che i problemi della sanità pubblica in Italia siano tanti, ma forse i più importanti sono questi: mancano i medici e gli infermieri che migrano all’estero dove sono pagati in maniera più consona al servizio che offrono e inoltre nel corso degli anni tutti i governi hanno cercato di limitare gli stanziamenti per la sanità per risanare il debito pubblico.

Stando così le cose si dovrebbe pensare che la priorità per un governo che vuole il bene dei suoi cittadini sia cercare di migliorare le condizioni basilari della vita e certo un’assistenza sanitaria decente dovrebbe rientrare nei suoi obiettivi primari, invece sui giornali si parla di “ponte sullo stretto di Messina”, un’ opera già costata miliardi e che ne costerà ancora tantissimi …Il ponte sullo stretto non c’è mai stato eppure la vita ha continuato a scorrere; se non posso curarmi e ho una malattia seria, la mia vita è in pericolo e la mia qualità di vita non è più accettabile.

Vorrei dire al governo: investite i capitali, che vorreste destinare a un’ opera che può certo aspettare, per aumentare gli stipendi del personale sanitario che così non avrebbe motivo per andarsene all’estero e forse andando a chiedere una visita urgente potremo avere l’impressione di non essere dei numeri senza importanza.

UTE: Storia del cristianesimo.

Nelle sue ultime sempre interessanti lezioni, don Ivano ci ha introdotto nella storia del cristianesimo attraverso le letture dei primi scritti attribuiti ad autori cristiani, Spesso certi documenti di questo periodo appaiono sovrabbondanti di particolari poco credibili, ma bisogna distinguerli in tre diverse categorie:

ACTA: sono i verbali dei processi che vedono sotto accusa i cristiani e che si caratterizzano per uno stile notarile, scarno, ma da essi si possono dedurre notizie storiche affidabili; PASSIONES: sono i racconti che descrivono il martirio cui sono stati sottoposti i condannati e spesso risentono dell’emotività degli autori; LEGENDAE: (traduzione: testi da leggere) sono testi che venivano letti durante le celebrazioni delle ricorrenze festive per ricordare i martiri e spesso sono perciò arricchiti di particolari per attirare l’attenzione e l’interesse degli ascoltatori-

Tra i documenti risalenti al III secolo d.C. merita di essere ricordata la “Passione di Felicita e Perpetua”. Perpetua è una donna nobile e colta (forse una diaconessa) di Cartagine; ha 22 anni ed è madre di due figli. Felicita è la sua domestica . Le due donne vengono incarcerate e Perpetua scrive con grande maestria un diario dei suoi giorni di prigionia prima del martirio. In quel periodo, l’Africa del Nord domina culturalmente e anche politicamente (dinastia dei Severi) il mondo romano. E’ bene ricordare che le persecuzioni dei cristiani avevano spesso come motivazione principale la volontà di impossessarsi dei loro beni.

Il primo libro liturgico si intitola “TRADITIO APOSTOLICA” ed è stato scritto da Ippolito Romano nel III secolo d. C.

Il Cristianesimo era più diffuso nelle città (Roma e città del Nord Africa) che nei villaggi di campagna (pagi da cui deriva il termine “pagano”). I primi scrittori cristiani furono Perpetua, di cui abbiamo parlato più sopra, Cipriano e Tertulliano. Si andava formando un lessico adatto ai riti cristiani, ma si sentiva la necessità di avere dei testi di riferimento per la celebrazione dei riti religiosi ed è proprio dalla “Traditio Apostolica” che sono state tratte le parole che vengono pronunciate ancora oggi durante la Consacrazione del pane e del vino. Ippolito era animato da spirito polemico nei confronti della gerarchia ecclesiastica del tempo, tanto che si autoproclamò “antipapa” nel momento in cui fu eletto papa Callisto, che era stato diacono di Zefirino (papa). Durante le persecuzioni del 250 d.C. Ippolito e Callisto si trovano accomunati nello stesso martirio.

Scrivendo la “Traditio Apostolica” Ippolito voleva riportare alle originarie radici della predicazione apostolica i riti della Chiesa del suo tempo.

Salvini e le multe… a Erba però…

Salvini è quasi di casa a Erba, dove ha molti seguaci fedelissimi, ma forse non sa quello che vi accade….

E’ appena stato emanato, da parte del ministero di Salvini, un decreto per limitare i casi in cui possono essere comminate delle multe, intanto però a Erba il Comune fa cassa proprio con le multe e la Lega è nella maggioranza che governa la città…

Salvini ha fatto certamente una mossa elettorale che potrebbe essere efficace, se non fosse contraddetto sul campo proprio da quelli della sua parte…

UTE il paesaggio nella pittura.

In queste ultime lezioni la prof. Emanuela Beretta ci ha proposto la storia del paesaggio nella pittura, partendo dal Medio Evo fino al paesaggio “silenzioso” di Morandi.

La parola paesaggio viene usata per la prima volta da Tiziano Vecellio nel 1552 in una lettera inviata a Filippo d’Asburgo; prima si parlava solo di sfondo o di paese.

La natura, nel Medio Evo è vista con timore, perché piena di pericoli; solo la natura ordinata dall’uomo è benigna, infatti nel Decamerone è il giardino il luogo in cui si cerca la salvezza. Nella pittura medioevale la natura resta sullo sfondo.

E’ nel 1400 che l’arte comincia a interessarsi al paesaggio e studia la natura che avvolge le figure ritratte nel dipinto, ma non c’è ancora un’ambientazione nello spazio intesa come prospettiva.

Nella pittura fiamminga il paesaggio diventa realistico viene arricchito dalla prospettiva e da particolari minuziosi: diventa uno spazio in cui gli uomini vivono, ma manca l’atmosfera.

In Mantegna , “Orazione nell’orto” i personaggi si inseriscono perfettamente nel paesaggio; in Tiziano poi esso tende a prevalere sulle figure ritratte: i personaggi infatti sono inseriti in paesaggi selvaggi e realistici. Nella sua opera “Ascensione”, Tiziano rappresenta paesaggi sfumati molto moderni.

Quando nell’800 furono inventati i tubetti di colore, facilmente trasportabili, dilagò la pittura “en plein air” con la riproduzione di paesaggi dal vero che spesso vogliono rappresentare anche gli stati d’animo e le atmosfere che pervadono la scena dipinta.

Nell’ultima sua lezione di questo Anno Accademico, la prof. Beretta ci ha portato in pieno ‘900 per parlarci di un pittore solitario e anomalo nel panorama artistico del suo tempo: Giorgio Morandi. Egli ricerca linguaggi nuovi, poiché si trova a disagio sia con l’arte ottocentesca sia con quella futurista o metafisica, dalle quali si discosta ben presto.

Si dedica allo studio della tradizione artistica italiana e toscana in particolare ( Giotto, Piero della Francesca… ), ma si rifà anche a Fattori, Corot e Cezanne. Della pittura medioevale analizza colori, forme e disposizione dei volumi; non ama invece le figure troppo vistose, troppo vigorose, titaniche e retoriche. Ama piuttosto le linee semplici e i colori non aggressivi. I suoi paesaggi sono pervasi da un’atmosfera silenziosa, intima, delicata, raffinata. Ricerca la semplicità e l’essenzialità delle linee e delle forme e dipinge sempre dal vero. La sua pittura ha grandi affinità con la poesia di Montale, che , nella sua poesia “meriggiare pallido e assorto” riproduce la stessa atmosfera di intimità e silenzio di un pomeriggio assolato.

Ha vissuto quasi tutta la vita a Bologna con le sorelle, ma quando il cortile su cui si affacciava la finestra da cui vedeva il paesaggio che amava dipingere fu occupato da nuove costruzioni, si trasferì a Ghizzana sull’Appennino Tosco-Emiliano. Quel piccolo, povero, sconosciuto angolo di mondo è diventato, grazie ai dipinti in cui lo ha riprodotto, un luogo da visitare per chi intende comprendere la pittura di Morandi.