Periodo difficile per la nostra UTE. Anche oggi si è resa necessaria una variazione di programma e, al posto dell’ annunciata lezione della psicopedagogista Todaro, abbiamo seguito la lezione della prof.ssa Alberta Chiesa, che ha gentilmente sostituito la docente impossibilitata a intervenire.
Abbiamo così potuto ascoltare una dotta e puntuale rilettura di alcuni brani de “I Promessi Sposi” riguardanti i capitoli che parlano della peste.
Manzoni ha fatto accurate ricerche storiche attingendo a varie fonti e il quadro della situazione politica, sociale ed economica è rigorosa.
Alla fine di questa lezione mi vengono in mente alcune considerazioni: anche oggi come allora l’ ignoranza è uno dei mali peggiori che opprimono l’umanità: oggi si è portati al razzismo o al fanatismo irrazionale, come allora si dava la caccia agli untori; oggi come allora i politici spesso non sono all’ altezza dei problemi da affrontare e si rifugiano nella negazione degli stessi o nel rimandare le soluzioni, lasciando che i problemi si incancreniscano.
Di grande interesse mi è parsa la lettura comparata di brani delle varie versioni del romanzo manzoniano, comparazione che ha dato modo di osservare l’ evoluzione dell’opera nel corso degli anni, prima dell’edizione definitiva.
Altra cosa che mi ha sorpreso è che il brano comunemente ricordato col titolo “Cecilia” non è scaturito dalla fantasia del Manzoni , ma viene riportato in una delle sue fonti storiche. Lo scrittore lo ha solo rivestito di vera e immortale poesia in prosa… Se non ve lo ricordate, ve lo ripropongo qui….
” Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, “no!” disse: “non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete.” Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: “promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così.”
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, piú per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: “addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri.” Poi voltatasi di nuovo al monatto, “voi,” disse, “passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola.”
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina piú piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.”