Oggi su Rai3 ho seguito un’interessante trasmissione che parlava degli scioperi delle mondine nei primi anni del novecento.
Mi sono ricordata immediatamente di una vicina di casa di quando ero piccola: era andata in Piemonte a fare la mondina e al suo ritorno aveva le gambe completamente martoriate da piaghe e punture di insetti e raccontava episodi che testimoniavano la vita durissima di quei 40 giorni. Quelle donne stavano immerse nell’acqua sotto il sole, a combattere contro sanguisughe, bisce e zanzare e a sera dovevano accontentarsi di un pagliericcio per dormire: queste condizioni di lavoro le hanno indotte a combattere con estrema determinazione contro lo sfruttamento, ottenendo il riconoscimento di diritti, come le otto ore e la parità di salario con gli uomini, che altre categorie conseguirono solo molto più tardi.
Molto eloquente è la testimonianza che ho trovato in questo sito e che riporto qui di seguito:
Lei era una locale, una mondina del posto, nelle risaie ci è andata appena terminata la quinta elementare e ha continuato fino all’avvento dei diserbanti. Racconta «Avevo dieci anni, mi presero per portare le botticelle d’acqua alle ragazze che lavoravano, poi ho cominciato anch’io a mondare. Facevo un’ora in meno, perché davo una mano a pelare le patate e a pulire le verdure in cucina». I ricordi di Rosa sono ricordi di sanguisughe che si attaccavano alle gambe, di bisce d’acqua repellenti, di insetti che mordevano provocando un bruciore fortissimo. Le sue parole somigliano al copione di un film «Le forestiere, come le chiamavano tutti, scendevano dai treni che arrivavano soprattutto dall’Emilia, poi salivano sui carri per andare alle cascine. Lì firmavano il contratto e ricevevano un cappello per il sole e il chinino contro la malaria. A noi locali bastava un’ora di bicicletta ed eravamo sul posto di lavoro». Quanto guadagnava una mondina? Rosa scuote la testa e si lascia andare a un sospiro eloquente «Cinque lire e un chilo di riso per dieci ore (negli anni ’50, ndr). La fatica era tanta, ma c’era anche tanta allegria. Nei quaranta giorni si vedevano centinaia di donne piegate sulle piantine con i cappelli in testa. Lavoravano e cantavano in coro. Durante la sosta del pranzo le forestiere raccontavano pettegolezzi e fatti divertenti sui loro paesi. Venivano in risaia per guadagnare soldi e per starsene un po’ lontane da casa». Cosa si mangiava a pranzo e a cena ? «Riso, riso, riso. Pasta la domenica, ogni tanto la frutta raccolta sugli alberi. Il brodo fatto con le ossa del maiale, che ricordava il sapore della carne, era un lusso. La sera, chi non andava a dormire correva a ballare. C’era sempre una fisarmonica che suonava, e ai ragazzi del posto le mondine piacevano molto. Li vedevi passare tra le risaie in bicicletta e in lambretta, guardavano le forestiere, ci parlavano, davano appuntamento. Molte si sono sposate e sono rimaste qui».