Nel maggio 1986 , insegnavo in una classe quarta, che avrebbe dovuto partecipare a una settimana “verde” sulle montagne vicine. Già l’ idea di stare 6 giorni fuori casa non mi sorrideva, poi arrivò la notizia del disastro di Chernobyl e della nuvola radioattiva che si era diretta proprio sul nord-ovest dell’Italia e questo mi indusse a opporre un netto rifiuto ad aderire all’ iniziativa promossa dal Comune: nessuno avrebbe potuto convincermi che non fosse pericoloso portare dei bambini nei boschi battuti da piogge insistenti cariche di radioattività e alla fine tutti si convinsero che sarebbe stato meglio soprassedere.
In quei giorni molti si producevano in previsioni su ciò che sarebbe accaduto a distanza di tempo nei boschi dei dintorni, contaminati dal cesio 137 e quali danni sarebbero derivati alla popolazione. Si parlava di aumento della mortalità a causa di tumori nel giro di qualche decennio.
Ora la notizia che nella Valsesia ci siano dei cinghiali radioattivi non è da sottovalutare; se i cinghiali sono radioattivi in quella zona, lo saranno anche altri animali delle altre valli del nord? E’ logico pensarlo. Saranno radioattivi anche i funghi o le castagne o le nocciole? Sarà da addebitare a questa situazione ambientale il calo drastico della fertilità delle giovani coppie? Sarà possibile disinquinare l’ ambiente? Con quali costi? E infine ci si può chiedere quanto siamo radioattivi tutti noi?
I sostenitori dell’ economicità dell’ energia nucleare, mettono in conto anche questi effetti collaterali o
fingono che non esistano?