Ieri all’ UTE (Università della Terza Età) h potuto assistere a un’ interessantissima e sconvolgente lezione sull’ immigrazione odierna, che riguarda più di duecento milioni di persone nel mondo.
Tra le cause di questo fenomeno epocale c’ è anche lo sviluppo economico , che arricchisce una parte delle popolazioni investite dal fenomeno, ma ne impoverisce un’ altra parte, al punto da non lasciarle altra scelta che fuggire. A questo proposito è stato citato un libro di una famosa e apprezzatissima scrittrice indiana,VANDANA SHIVA, intitolato: “Sopravvivere allo sviluppo”.
Per conoscere meglio questa scrittrice si può cliccare QUI
Io copio/incollo da quella pagina questo breve stralcio, che mi pare significativo:
“All’inizio degli anni ’80, il nome di Vandana Shiva cominciò a circolare anche in Europa associato a quello del movimento “Chipko”. Chipko era nato come movimento di difesa e autodifesa collettiva di gruppi di donne indiane abitanti delle regioni montuose himalayane e legate alle foreste da una sorta di simbiosi, in un tipo di economia completamente diverso da quello dominante, l’economia di sussistenza. Grazie alla quale le popolazioni delle zone rurali e di montagna si garantivano una sopravvivenza dignitosa senza essere opulenta, e soprattutto sostenibile per i secoli dei secoli.
Quelle donne dunque diedero vita a un movimento perché volevano evitare che gli alberi e le foreste, da cui traevano collettivamente sostentamento tutte le famiglie, venissero tagliati dalle imprese multinazionali pronte a disboscare per fare spazio a coltivazioni di eucalipti e altre essenze con la mira di profitti a breve termine.
Due economie si scontravano; di queste, una chiedeva di essere lasciata sopravvivere in pace senza dar fastidio a nessuno e l’altra divorava sempre più territori e risorse, pretendendo di imporre se stessa come unica economia possibile. Che quest’ultima pretesa fosse, anzi sia una forma inaccettabile di violenza, è uno dei temi principali che Vandana Shiva discute nella sua opera. Ma si tratta anche del confronto fra due visioni del mondo. Perciò quelle donne, portatrici di una visione ispirata al valore del principio femminile presente anche nell’antica tradizione cosmologica indiana, cominciarono a legarsi agli alberi, nell’intento di fermare le motoseghe, cioè la distruzione delle proprie fonti di sostentamento sostenibile e anche la distruzione dei propri tesori di conoscenza e sapere, da noi definiti allora “alternativi”.”