La prof. Meggetto con la sua voce piacevole ed armoniosa ieri ci ha guidato alla scoperta della lunga vita, dall’antichità più remota ai giorni nostri, della parola ARS, che noi traduciamo con il termine ARTE,
In latino era definita ARS la capacità di fare le cose utilizzando conoscenze astratte; il corrispondente termine greco era TECHNE. Nell’accezione latina non c’è nulla di spontaneo nell’ARS, ma c’è studio e tattica. Da ARS deriva ARTIFICIUM che stava a indicare qualcosa fatto con arte; il suo contrario era INERTIA, cioè incapacità di usare l’arte.
ARS implica un apprendistato per conoscere delle regole da seguire: è ars anche quella del medico che mette in pratica le sue conoscenze. Ovidio scrisse l’ARS AMANDI sull’abilità di conquistare una donna.
Anche gli dei erano artigiani: Athena era abile nella tessitura, Vulcano nella lavorazione dei metalli; così era artigiano ed artista Dedalo che costruì il labirinto e le ali per poterne uscire insieme al figlio Icaro. Per queste sue invenzioni si era ispirato alla natura (il fiume Meandro per il labirinto, l’anatomia degli uccelli per le ali). La natura è reale, l’arte è imitazione, è un falso.
Cicerone con l’ARS DICENDI e Orazio con le sue poesie sostengono che anche nell’oratoria come nella poesia è importante il lavoro di limatura, di studio; la spontaneità, l’ispirazione non sono sufficienti. Seneca afferma che l’apprendimento delle ARTES non deve avere fini economici, ma deve formare l’uomo orientandolo al bene.
Oggi l’opera dell’uomo può superare la natura e modificarla come accade nella biologia e nella medicina: è sempre legittimo tutto ciò?
Un tempo la scuola era finalizzata all’elevazione attraverso lo STUDIUM (impegno inteso come divertimento). La scuola di oggi tende a trasmettere istruzioni per l’apprendimento di tecniche e spesso dimentica di dedicarsi alla formazione di personalità armoniche, di educare alla vita sociale; il maestro dovrebbe invece fornire non solo nozioni, ma modelli di comportamento.
E’ sempre interessante ripercorrere la vita delle parole, perché ciò consente di ripercorrere il cammino dell’umanità.
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Segue la dettagliata sintesi di Angela D’Albis della seconda lezione del giorno.
Oggi la prof. Chiesa ci parla delle prime “invasioni barbariche” del mondo romano.
All’inizio, la docente si e ci pone un interrogativo: “furono invasioni barbariche o migrazioni di popoli nella Storia?”
Questa domanda è importante per noi che stiamo vivendo un periodo di “migrazioni”, che, spesso, sentiamo come “invasioni”.
La prof. Chiesa ci dice che nella storia ci sono sempre state le migrazioni e che noi, popoli attuali dell’Europa, siamo il frutto di queste migrazioni.
Ci spiega che la parola “Barbaro” sia in greco, sia in latino, significa “straniero”, colui che non parla la stessa lingua. Per i Romani, essi sono anche popoli primitivi da civilizzare. Questa è una scusa che usano per giustificare le guerre che fanno per conquista e non per scopi umanitari.
Già l’Homo Sapiens migra dall’Africa centrale, lungo questo continente, fino a giungere in Arabia, in Europa e in Siberia.
Questo gruppo di persone che si stanzia tra l’odierna Europa e la Siberia è il popolo “indoeuropeo”, da cui hanno avuto origine tutti i popoli europei.
Essi hanno un linguaggio con parole comuni e la carnagione chiara.
Di questo popolo indoeuropeo ci sono state tre ondate di migrazioni: la prima verso Sud; la seconda verso l’India e la Persia; la terza verso occidente.
Queste migrazioni sono legate sempre alla ricerca di posti migliori nei quali vivere.
Tra questi popoli indoeuropei ci sono i Celti. Essi sono chiamati dai Romani Galli e Giulio Cesare nella sua opera, DE BELLO GALLICO, ce ne parla ampiamente.
Probabilmente, I Celti arrivarono in Italia all’inizio del IV secolo A.C.
Vi trovarono gli Etruschi, gli Umbri, i Latini, i Sabini. I Romani non erano ancora potenti.
Nell’Italia del Nord, i Celti o Galli trovano le tribù degli Insubri. IL territorio della Pianura Padana è, però, desertico. I Celti lo popolano e fondano anche la loro capitale MEDIOLANUM. Questa è un’ipotesi. Un’altra ipotesi li vuole popolazione Celtica.
L’esistenza degli “Insubri” è, infatti, incerta.
I Celti conquistano anche la zona del comasco e diventano la prima popolazione storicamente conosciuta di Como.
Poi i Romani, con le Guerre Galliche di Cesare, conquistano questi territori. Tuttavia, Cesare fa dei patti con i Galli, ma soprattutto capisce che per mantenere la pace è necessario “integrare” queste popolazioni. Così, distribuisce dei beni ai Galli e permette loro di entrare nell’esercito di Roma (Legio Gallica).
La docente continua spiegandoci schematicamente la società dei Galli (Celti) descritta da Cesare.
Cesare, nel suo DE BELLO GALLICO, descrive, infatti, non solo le battaglie, ma anche i costumi e la cultura delle tradizioni galliche e germaniche.
Le caratteristiche della società dei Galli sono:
- L’assenza di centri cittadini;
- L’organizzazione in tribù;
- La mancanza di una solida struttura statale.
Nella struttura sociale, sono divisi in CLASSI:
- I Guerrieri;
- I Liberi (agricoltori e allevatori);
- I Sacerdoti o Druidi;
- La Plebe (i servi che si sottomettono volontariamente alla perdita della libertà per debiti).
Le loro pratiche religiose sono “i sacrifici umani” e i funerali.
I Galli (Celti) tengono in grande considerazione la famiglia; danno grande importanza alle donne, come mogli, (praticano la monogamia), che sono consigliere dei mariti e eredi dei loro beni dopo la morte; il matrimonio e i figli.
Le attività economiche principali sono: la caccia; l’allevamento e l’agricoltura; il commercio del sale e, curiosità, la produzione di vino e birra.
Producono anche una raffinata oreficeria.
Cesare riconosce ai Galli la costanza nella lotta per la loro indipendenza dal dominio romano, ma rimprovera loro l’infiacchimento dei costumi subentrato con la pace.
Lo storico Tacito ci parla più diffusamente dei Germani.
Anche esse sono popolazioni di origine celtica. Dopo essere riusciti a penetrare in Gallia, in aiuto dei Galli contro i Romani, sono sconfitti da Cesare nel 52 A.C.
Gli usi e i costumi del Germani si differenziano da quelli dei Galli.
Essi non hanno sacerdoti, né capi o magistrati, se non in tempo di guerra; ammettono il furto, perché segno di astuzia; sono coraggiosi in battaglia e praticano l’ospitalità.
Tacito, nella sua opera “La Germania”, ci dice che tengono molto al loro aspetto fisico (occhi azzurri e chioma rossa) e che si vantano di non essersi mai mescolati con altri popoli (mito della “razza pura” poi ripreso dall’ideologia nazista tanti secoli dopo).
In politica non hanno nessuna struttura statale e eleggono il re solo in caso di guerra. Tuttavia, esercitano già una forma di “Democrazia”, perché le decisioni più importanti non le prende il Re, ma “un’assemblea” formata da cittadini.
La Religione non ha una casta sacerdotale; gli “SCIAMANI” sono i mediatori tra i vivi e i morti; oggetto del loro culto sono gli elementi della natura.
Anche loro, come i Galli, ci tengono alla famiglia; rispettano le loro mogli, consigliere dei mariti, e sono attenti all’educazione dei bambini.
Nella sua opera, Tacito dà un giudizio morale positivo sui Germani, mentre condanna le loro brutalità esercitate in battaglia.
Tuttavia, Tacito non è tenero neanche coi Romani.
Insieme a Sallustio (altro scrittore romano, ma anche Tribuno e Proconsole al fianco di Cesare), denuncia la corruzione, gli intrighi e la decadenza dei Romani che porterà alla perdita dei “valori”, all’infiacchimento fisico e, di conseguenza, alla decadenza dell’Impero Romano.
Grazie alla professoressa Chiesa per questa interessantissima lezione!