Oggi abbiamo rincontrato con vero piacere la prof. Meggetto, che, con la sua voce morbida e la sua pronuncia da doppiatrice cinematografica, ha ripreso il filo del discorso lasciato in sospeso lo scorso anno. Oggi ha ripercorso la vita della parola FELICITA’ e dei termini ad essa collegabili.
Se ci si chiede cosa sia la Felicità difficilmente si può dare una risposta condivisibile da tutti. Basta non avere angosce e preoccupazioni per essere felici? Nel 1400 il tema della felicità era molto dibattuto ed era intesa come realizzazione del benessere civile comune. Ora invece la si concepisce come un fatto prettamente individuale, come soddisfazione di un desiderio personale. Attualmente spesso si intende la felicità come possesso di beni materiali, si è perduto il senso della gratuità e dello scambio senza vantaggi personali.
Etimologicamente la parola felicità deriva da felix che significava “capacità di generare”. Felicitas indicava la dea dell’abbondanza e della fertilità. (Infelix significava “Sterile” ) La radice di queste parole deriva da “fela” (mammella) e richiama l’idea della gioia che deriva nel dare felicità ad un altro essere (la mamma che allatta il suo bebè è felice di soddisfarlo). Questa idea è stata recepita dal cristianesimo come testimoniano i tanti luoghi di culto dedicati alla Madonna del Latte.
Aristotele diceva che si può essere ricchi da soli, ma per essere felici bisogna essere in due. Secondo Leopardi siamo condannati all’infelicità perchè aspiriamo a una felicità illimitata, mentre essa ci viene concessa solo in rari momenti.
Un sinonimo di felice è “contento” che etimologicamente significa apprezzare ciò che si ha e non desiderare di più. Ancora Leopardi della ginestra dice che è contenta del suo deserto; la contentezza è quindi la negazione delle illusioni. Essere contenti di ciò che si ha tuttavia non deve indurci a chiuderci in noi stessi e a difendere con le unghie e con i denti ciò che ci dà sicurezza, anzi l’unica scelta possibile è aprirsi ai nostri simili evitando assurde contrapposizioni: in fondo, se consideriamo l’universo in cui viviamo, siamo solo piccole formiche che devono unirsi per affrontare il destino comune.
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Nella seconda ora, don Ivano ha ripreso l’analisi degli anni del primo dopoguerra e in particolare il trattato di Saint Germain riguardante l’ Austria e quello del Trianon con l’ Ungheria (sotto il nome di trattati di Versailles vengono infatti compresi vari trattati stipulati tra le potenze vincitrici della Grande Guerra e i paesi sconfitti).
Austria e Ungheria sono due paesi dalla lunga e gloriosa storia e furono costrette a firmare veri e propri diktat, che ne limitavano drasticamente il territorio e le obbligavano a pagare pesantissimi danni di guerra: ci fu la volontà di umiliarle, nonostante non fossero state battute sul campo di battaglia, ma fossero state costrette alla resa per la mancanza di rifornimenti e di viveri.
Ci furono tentativi di rivoluzione comunista sia a Vienna che a Budapest, tentativi naufragati in fretta, ma che rendono l’idea di quanto grave fosse il malessere, o per meglio dire il caos, che regnava in questi due paesi.
Fu la miopia dei vincitori a determinare quel desiderio di rivincita e di riscatto che porterà allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Naturalmente con questi sunti non si riesce a dare bene l’idea della piacevolezza di queste lezioni ed è un bene, così spero di suscitare in molti il desiderio di venire all’UTE!!!