Proseguendo la presentazione dei principali monumenti della Sicilia Normanna, la prof. Beretta oggi ci ha illustrato le cattedrali di Cefalù e di Monreale.
Cefalù è un piccolo centro situato in un paesaggio bellissimo. Una leggenda dice che re Ruggero II dopo un naufragio, fosse approdato sulle spiagge di Cefalù e che per questo abbia voluto costruirvi una cattedrale, che avrebbe dovuto diventare anche il mausoleo della sua famiglia.
La costruzione ha pianta a T, sul modello dell’abbazia di Cluny, e sulla facciata si innalzano due torri gemelle. Anche nella cattedrale di Cefalù si trovano elementi arabeggianti, elementi romanici e bizantini. Lo spazio interno è diviso in tre navate ed è caratterizzato da una serie di colonne molto alte, da un transetto appena accennato e dalla mancanza di decorazioni sulle pareti laterali. Solo l’abside è riccamente decorata da mosaici di stile bizantino in cui l’oro crea luminosità sorprendenti. L’immagine che campeggia nella cupola rappresenta il Cristo Pantocratore (onnipotente); sotto è rappresentata la Vergine (mediatrice tra terra e Cielo) attorniata dagli Arcangeli e nel registro inferiore appaiono le figure dei profeti.
Monreale: la cattedrale di Monreale sorge proprio ai bordi della città di Palermo . Fu fatta costruire da Guglielmo II (nipote di Ruggero II) e fa parte di un complesso monumentale molto ampio. La facciata è simile a quella di Cefalù, anche se una delle due torri appare incompiuta. L’esterno delle absidi è estremamente curato e decorato con archi intrecciati e marmi di diversi colori. Il chiostro è tra i più belli che siano mai stati realizzati e l’interno è tutto uno scintillio di mosaici dorati che lasciano senza fiato.
Chissà se andrò mai a vedere questa meraviglia!
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L’argomento che prende in considerazione Don Ivano in questa lezione è quello della corruzione della Chiesa letta attraverso il giudizio critico di Dante. Questa corruzione è legata all’uso e all’abuso del denaro.
Don Ivano sottolinea che l’uso del denaro non è messo in discussione, perché serve per il sostentamento: il problema è l’abuso del denaro.
Dante esprime un giudizio molto forte riguardo a questo tema, perché vede in esso la rovina della Chiesa.
Ci parla di San Francesco e San Domenico e i loro ordini riformisti che, allargandosi, si sono allontanati dallo spirito originario e si sofferma soprattutto sul movimento francescano.
All’interno dell’ordine francescano, infatti, c’erano due correnti, quella “spiritualista”, che voleva un distacco completo dal denaro tanto da non volerlo neanche usare, e quella meno rigorista.
Quindi c’erano dei frati che volevano un’adesione assoluta, sia personale che dei conventi, alla povertà, come testimoniato dallo stesso San Francesco, e frati più moderati, che intendevano la povertà assoluta impegnativa per i singoli e ammettevano la possibilità dell’ordine di disporre di propri beni
Dante sposa la tesi “spiritualista”.
Però come si fa a sopravvivere?
Anche i Francescani, diventando un’istituzione, dopo la morte di San Francesco, avevano bisogno di una casa e di mangiare.
Purtroppo, l’uso scorretto dei beni che vengono dati attraverso le collette, le elemosine portano la corruzione anche nei movimenti dei Francescani e dei Domenicani.
Questi ordini, così chiamati dai nomi dei loro fondatori, sono detti anche “mendicanti” perché si sostengono grazie alle elemosine e alle offerte.
Nel canto XI e un po’ nel XII del Paradiso, Dante fa parlare due santi, San Tommaso D’Aquino, domenicano e biografo di San Francesco, e San Bonaventura, francescano e biografo di San Domenico. Il tema trattato è quello della “povertà” e di San Francesco viene evidenziato soprattutto il suo distacco dai beni materiali.
Don Ivano ci spiega anche la differenza tra “monaco” e “frate”.
I “monaci” sono quelli che vivono nei monasteri, nella solitudine delle loro celle, con pochi momenti in comune con gli altri monaci, coltivando la terra che circonda il monastero i cui frutti, oltre al loro sostentamento, vengono venduti al mercato per ricavarne profitti.
I “frati” sono quelli che vivono nei “conventi”, tutti insieme, e che escono a due a due per elemosinare o che lavorano per il loro sostentamento.
Purtroppo, anche nei conventi entra la corruzione, dovuta soprattutto al fatto che, per volere del Papa, i Francescani sono costretti a fondare un ordine, controllato direttamente dal Papa.
San Francesco, invece, voleva un movimento, un gruppo di frati che avessero come regola solo il Vangelo.
Nel canto del Paradiso sopra citato, Dante fa raccontare la vita di San Francesco a San Tommaso D’Aquino, domenicano, che sottolinea che Francesco fa un’alleanza (Sacrum Commercium), cioè “sposa” madonna povertà.
La figura di “madonna povertà”, inoltre, viene presentata come una figura allegorica simile alla donna angelicata del “Dolce stil nuovo”, come Beatrice per Dante.
All’epoca di Dante c’erano tre biografie di San Francesco, due non ufficiali, mentre la terza, quella di San Bonaventura, è ritenuta quella ufficiale.
Anche Giotto e i suoi allievi hanno “raccontato” la vita di San Francesco con i loro affreschi nella Basilica Superiore e Inferiore di Assisi.
Per concludere, Dante sottolinea, nei canti XI e XII del Paradiso, che la soluzione al problema della corruzione nella Chiesa e nella Società si trova nell’esempio di San Francesco, che conquista più di tutti i trattati e di tutte le istituzioni.
Dante, che era stato accusato ingiustamente di appropriazione indebita di denaro e, per questa colpa, bandito dalla sua città e condannato a morte in contumacia, sottolinea che l’accumulo di denaro è il male per eccellenza della società e della Chiesa.
Anche oggi abbiamo bisogno non tanto di cambiare le leggi o le istituzioni, ma di avere persone credibili e capaci di vivere dentro le istituzioni con lo spirito originario di san Francesco.
Nella prossima lezione, Don Ivano ci parlerà di un altro male che affligge la società e la Chiesa, di grande attualità e interesse come questo affrontato in questa lezione!