Tra le opere più importanti, che Sciascia ci ha lasciato, ricordiamo senz’altro “L’affaire Moro” scritto a pochi mesi dal rapimento e dall’uccisione del leader pugliese.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro veniva rapito e 5 uomini della sua scorta venivano uccisi . Dopo 55 giorni, il 9 maggio, il suo cadavere veniva trovato in Via Fani dentro una Renault rossa.
In quei momenti, l’Italia sconvolta si ritrovò divisa tra i fautori della “fermezza” e i sostenitori della trattativa (in netta minoranza). Erano gli anni terribili in cui il nostro paese era troppo spesso sconvolto da attentati terroristici di diversa matrice politica; il primo di essi fu l’attentato alla banca di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969. Fu in quel periodo che Sciascia scrisse alcune sue opere dal sapore profetico come “Il contesto” e “Todo modo” (quest’ultimo divenne anche un film diretto da Elio Petri nel quale pare prefigurarsi il rapimento di Moro).
“L’affaire Moro” inizia con alcune pagine liriche che si richiamano a un noto articolo di Pasolini “La scomparsa delle lucciole” (in cui denunciava la scomparsa della civiltà contadina e dei suoi valori semplici, ma autentici, per lasciare il posto alla civiltà dei consumi nell’indifferenza colpevole dei leaders politici). Sciascia imposta la sua opera sull’analisi delle lettere, divulgate fino a quel momento, scritte da Moro durante la prigionia. Molti politici ritenevano che Moro le avesse scritte in stato di costrizione, sotto dettatura dei suoi carcerieri, perché chiedeva di instaurare una trattativa con le BR: si sentiva abbandonato dai suoi compagni di partito e parlava non più come leader politico, ma come un uomo che rifugge dall’idea di una morte tanto atroce e senza senso.
La teoria di Sciascia sarà poi confermata negli anni seguenti col ritrovamento di numerosi altri scritti di Moro in un covo di brigatisti a Milano.
Molti ritenevano che le BR fossero lo strumento manipolato da oscuri manovratori; forse dipende dal vizio italiano della dietrologia, ma sono comprensibili i motivi per cui gli Stati Uniti vedevano di malocchio la politica del compromesso storico portata avanti da Moro e, d’altra parte, anche l’URSS temeva che la politica dell'”eretico” Berlinguer potesse costituire un pericoloso modello per i paesi satelliti.
Grazie, Prof. Porro, per questo interessante ciclo di lezioni e arrivederci in autunno (speriamo in presenza)!