Don Ivano continua le sue lezioni su Giovanni Verga, in occasione del centenario della morte, e ci presenta il secondo (e ultimo) romanzo del ciclo dei “vinti”. “Mastro Don Gesualdo”.
Come già detto la scorsa volta, Verga si era prefisso di scrivere 5 romanzi del ciclo dei “vinti”, analizzando una serie di personaggi che, pur appartenendo a classi sociali diverse, sono destinati ad essere trascinati via dalla storia.
I “vinti” non sono, per Verga, solo i rifiuti della società, o solo coloro che psicologicamente o socialmente sono fragili. Tutti possono entrare a far parte dei “vinti”, anche gli aristocratici, basta che abbiano la “roba”.
La “roba” è un termine siciliano per intendere la “proprietà terriera”, cioè una proprietà sulla quale c’è una costruzione, una casa, abitata dai suoi proprietari.
Come già accennato la volta scorsa, Verga non riuscì a portare a termine il suo progetto, non perché gliene mancasse il tempo, ma perché la sua vena narrativa era esaurita.
Lo scrittore si trova immerso nel clima culturale degli anni ’80 del XIX secolo. In questi anni scrive il suo capolavoro: ”I Malavoglia”, in cui è protagonista una famiglia e la storia segue l’evoluzione di questa famiglia.
Nel “Mastro Don Gesualdo” c’è un solo protagonista, legato alla “roba”, che è un “vinto”.
Lo chiamano “Mastro” perché appare alla gente come colui che ha sempre lavorato e, proprio per questo, ha le mani sporche di calcina e di gesso.
Il protagonista si identifica con il suo lavoro perché gli dà diritto alla “roba”, che gli appartiene fino ad identificarsi con essa.
Gesualdo è un “uomo-roba”. Gli viene identificato anche l’appellativo “Don”, come se appartenesse alla casta nobiliare E’ il suo matrimonio con Bianca, erede della famiglia dei Trao, che ormai non ha più niente, che gli consente la scalata sociale. Tuttavia, non si sentirà mai appartenente a quel mondo e quel mondo lo sopporterà così male, tanto da arrivare a rigettarlo.
La vicenda si svolge nei primi anni dell’Ottocento, in quel periodo che i libri di scuola chiamano “restaurazione”.
Sullo sfondo si sente parlare dei moti del 1821 e, nella parte finale, scoppiano quelli del 1848.
Il protagonista, non solo non vi partecipa, ma è preoccupato che i rivolgimenti possano intaccare il suo patrimonio.
All’autore del romanzo, infatti, non interessano i cambiamenti sociali e politici che stanno trasformando l’Italia e anche il Sud, ma gli interessa il protagonista che vive in un mondo chiuso e che è solo sfiorato da quelle vicende.
Come ha già fatto con “i Malavoglia”, il nostro relatore ci tiene a sottolineare l’aspetto umano di questo personaggio.
Mastro Don Gesualdo cerca di uscire da una certa condizione di vita, ma viene travolto dalla storia perché è un “vinto”.
Tuttavia, egli ha anche un’anima. Pur essendo dominato dall’istinto, la sua sensibilità viene recuperata attraverso le figure femminili che gli ruotano attorno.
C’è, innanzitutto, “Diodata”, la sola donna che ha amato e che gli rimane accanto nonostante i maltrattamenti: grazie a lei qualcosa di umano affiora nell’animo del protagonista.
Mastro Don Gesualdo è un uomo che vive di e per la “roba”; usa un linguaggio popolare che evidenzia più “brutalità” che “umanità”; tuttavia, accanto a Diodata la sua umanità risorge.
Concludendo, Verga appartiene alla corrente del “Verismo”, quindi si serve di vocaboli popolari, di forme dialettali, di modi di dire tipici del linguaggio parlato.
Non scrive in dialetto, ma usa un italiano che mantiene le caratteristiche del dialetto.
Pur ambientando in Sicilia le sue opere, le scrive a Firenze e a Milano. Non tutte le opere sono ambientate in Sicilia, però! Ci sono alcune novelle ambientate qui al Nord, a Como, Lecco, Monza.
Giovanni Verga è stato un importante scrittore e ha dato un grande contributo alla Cultura, alla Lingua e alla Letteratura Italiana.
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Dopo averci spiegato, nella scorsa lezione, come è fatta la spalla e dopo aver esaminato i disturbi che ne limitano la funzionalità, il dottor Lissoni ci elenca, in questa lezione, una serie di rimedi per ovviare a questi problemi.
Il relatore ribadisce l’importanza della “prevenzione”, che va fatta principalmente prima che si manifestino i disturbi. Quando questi ci sono, si fa una “diagnosi” che si basa su un attento esame clinico (anche con esami radiologici e neurofisiologici).
Dopo aver capito da che cosa dipende il dolore, si passa al “trattamento”. Per prima cosa bisogna ridurre l’uso della spalla ed evitare attività che possano nuocere. Per limitare l’uso delle articolazioni, è consigliabile usare un “reggi-braccio”.
Ci sono vari tipi di trattamento e di terapia a seconda del problema che si evidenzia con la diagnosi.
Possiamo usare la “crioterapia” (terapia del freddo) e la “termoterapia” (terapia del caldo) per le infiammazioni.
La “terapia con le onde d’urto” è consigliata per le tendiniti e i disturbi a livello osseo (per esempio calcificazioni post traumatiche).
I farmaci che vengono prescritti sono: gli “analgesici” e gli “antiinfiammatori”.
Gli “analgesici” sono sconsigliati perché il loro effetto è di breve durata e possono creare dipendenza.
Gli “antiinfiammatori”, invece, sono quelli più usati perché attenuano il dolore più a lungo e hanno pochi effetti collaterali.
E’ possibile, poi, fare delle “infiltrazioni”.
Si possono iniettare nella spalla “corticosteroidi”, per ridurre l’infiammazione e attenuare il dolore.
Un altro tipo di infiltrazioni sono quelle con “plasma arricchito con piastrine” (PRP), che costano tanto (circa 1000 euro a iniezione) e delle quali non sappiamo ancora se funzionano o meno.
Stesso discorso per le infiltrazioni con “cellule staminali”: costano migliaia di euro a iniezione e presentano dei rischi sia per l’efficacia dei trattamenti sia per eventuali complicanze.
Il dottor Lissoni è favorevole all’esercizio fisico e ce ne illustra alcuni, con delle diapositive, che si possono eseguire anche in casa, ma con costanza.
Infine, se ci sono fratture, rotture di tendini e altre problematiche gravi, è necessario intervenire chirurgicamente!
La procedura classica, per la quale necessita l’anestesia totale e la riabilitazione, è quella “aperta”.
Oggi, però, esistono procedure meno invasive, come la “chirurgia artroscopica”, che permette di intervenire senza aprire e riducendo di molto il periodo di riabilitazione.
Il professor Lissoni conclude presentandoci delle novità, nel campo della medicina ortopedica, dovute alle nuove tecnologie. Ci parla di “realtà virtuale”, che è una simulazione e crea un ambiente attraverso l’uso del computer, molto utile per la formazione dei giovani medici.
Poi c’è la “realtà aumentata”, che consiste in una sorta di fusione tra “realtà reale” e “realtà virtuale” con l’impiego dei sistemi digitali. Tramite queste tecnologie, è possibile fondere nel campo visivo del chirurgo, contenuti virtuali con la realtà che lo circonda.
Tutto questo, conclude il docente, porterà a sostanziali miglioramenti in campo medico e a ulteriori benefici per i pazienti.