Ilva mi raccontava di quando nostra madre mi affidava alle sue cure; lei, maggiore di me di qualche anno, era pur sempre una bambina con tanta voglia di giocare e la responsabilità di dover badare a me le pesava, ma soprattutto, diceva, si sentiva a disagio quando un’amichetta portava anche lei la sua sorellina: questa era bionda, paffuta, rosea, proprio come una bambola di porcellana. Io invece ero magrolina, pallida e avevo i capelli e gli occhi troppo scuri… non sembravo proprio una bambolina.
Naturalmente non ricordo nulla di quei giorni: ero troppo piccola. Il primo ricordo che ho di Ilva risale a qualche anno dopo.
Era una fredda domenica di inizio dicembre e stavamo tornando a casa dopo aver assistito alla messa . Ilva era con un paio di amiche e portava una busta di carta. Io con l’altra mia sorella e qualche altra bambina del vicinato le seguivamo. Ricordo il rumore secco dei nostri passi sulla strada gelata e poi la voce ironica e maliziosa di una di noi che diceva qualcosa del genere:- Chissà che cosa ci sarà dentro quella busta, vero Ilva?- Mia sorella si voltò arrabbiata e zittì l’amica pettegola. Lì per lì forse non capii, ma poi, ripensandoci, in seguito compresi: nella busta c’erano i regali che avrei trovato sul mio letto la mattina di Santa Lucia e mia sorella non voleva che mi fosse svelato anzitempo il segreto che rendeva ancora magica per me quella notte che attendevo con tanta ansia.
Sono più nitidi i ricordi che risalgono alla conclusione delle scuole elementari e delle medie. In entrambi i casi, le mie sorelle, e Ilva in testa (con l’appoggio dei miei fratelli), perorarono a spada tratta la mia prosecuzione degli studi: alla loro generosità devo il privilegio di aver conseguito un diploma. Questo mi ha sempre fatto sentire un senso di profonda gratitudine per le mie sorelle e per i miei fratelli.