Solo all’ultimo momento abbiamo potuto decidere di prenotare l’ultimo spettacolo cui ci dava diritto l’abbonamento sottoscritto a Natale, quindi non mi ero documentata su ciò che avremmo visto al “Piccolo”. E’ stato perciò un po’ destabilizzante per me assistere al primo atto di “L ‘ opera da tre soldi” , famosissima pièce di Bertolt Brecht e Kurt Weill.
La situazione rappresentata mi pareva troppo surreale, i personaggi parevano di volta in volta vittime e carnefici allo stesso tempo; poi nel secondo tempo tutto si è chiarito: la denuncia della corruzione ad ogni livello, dello sfruttamento dei poveri e dello strapotere del danaro, al cui fascino nessuno, povero o ricco che sia , intende sottrarsi. Ogni valore viene calpestato per danaro: amore, amicizia , lealtà, onestà, senso del dovere.
Ho molto apprezzato la recitazione dei protagonisti, soprattutto quella di Peppe Servillo, che conoscevo come musicista, ma che se la cava benissimo anche sulla scena. Uno straordinario effetto ottico veniva creato dal sipario fatto di lunghissime strisce verticali dorate, che creavano inaspettati effetti di luce ad ogni movimento, il che creava un contrasto netto con la semplicità , direi quasi povertà, delle scene.
Capisco benissimo il successo avuto da questa opera teatrale ai tempi di Streheler e ora, pur se i tempi sono notevolmente cambiati, il messaggio dello sfruttamento di una parte dell’umanità sull’altra resta sempre valido, anzi il problema si è forse ingigantito con la globalizzazione.