Riprendendo il tema della “marcia su Roma”, don Ivano ci ha ricordato che Mussolini era già prima del 1922 il capo dei “Fasci di Combattimento” formati in prevalenza da reduci della Prima Guerra Mondiale, scontenti del trattamento ricevuto a fine conflitto.
Al momento della marcia su Roma, che non fu affatto un evento epico, come poi la propaganda fascista lo volle far diventare, Mussolini, ricevendo l’incarico di capo del governo, poteva contare solo sul 7% dei deputati presenti in Parlamento e dovette dunque costituire un governo di coalizione che comprendeva alcuni cattolici di destra e i nazionalisti, ma escludeva socialisti, comunisti e repubblicani. Il suo discorso di insediamento del nuovo governo è molto eloquente: il disprezzo per le istituzioni democratiche trasuda da ogni parola; è noto infatti come “discorso del bivacco” per ricordare questo passaggio:
«Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti.
Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.»
Erano quindi evidenti fin da subito le sue intenzioni autoritarie e antidemocratiche, ma il Parlamento gli diede comunque la fiducia, intimorito dalla propria incapacità di far fronte ai problemi del paese e in linea con le pressioni che venivano dal mondo imprenditoriale.
E’ così che si arriva poi all’approvazione della Legge Acerbo, nota come “legge truffa” che riconosceva i due terzi dei seggi in Parlamento al partito che avesse ottenuto il 25% dei voti o comunque il maggior numero di voti. In questo modo si assicurava al partito fascista (che sapeva come condizionare le elezioni) il pieno controllo del Parlamento: l’istituzione del partito unico fu solo il prevedibile passo successivo.
Possiamo perciò dire che Mussolini arrivò alla dittatura (che gli storici fanno iniziare il 3 gennaio 1925 con il discorso sul delitto Matteotti) utilizzando le istituzioni democratiche.
Questo ci dice che la democrazia va sempre difesa, perché è sempre in agguato chi vuole abbatterla in modo subdolo e, apparentemente, indolore.
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LA MILANO DI GADDA – Gadda non amava i Brianzoli, che aveva conosciuto durante i suoi soggiorni nella Villa di Famiglia a Longone al Segrino, ma non amava nemmeno i Milanesi, perché si sentiva emarginato dalla ricca borghesia cittadina fatta di imprenditori che con la cultura in genere e con la letteratura in particolare avevano ben poco a che fare. E’ per esprimere questa sua critica feroce per una borghesia assente dal governo nazionale che il Gadda scrive “Invettiva contro Rusconi” ; in seguito scrive “L’Adalgisa”, una raccolta di racconti in cui lo scrittore ironizza sui riti della Milano-bene di inizio secolo XX e “incendio in Via Keplero”.
La lezione è stata resa piacevole dalla lettura di alcuni brani tratti dalle opere citate di Gadda dall’Attore Christian Poggioni.
Pomeriggio tra storia e letteratura estremamente interessante.