I miei fratelli erano molto più grandi di me e non avevamo molte occasioni per fare delle cose insieme.
Ricordo però che tutti e due ogni tanto , in estate, mi portavano a pescare insieme a loro.
Tutto aveva inizio con la ricerca dei lombrichi, che dovevano fare da esca; si andava con la vanga nell’ orto o sulle rive di un fossatello vicino a casa.
Ricordo ora con un certo ribrezzo l’ apparire dei lombrichi lucidi e umidicci tra le zolle smosse; allora invece non mi facevo nessun problema a prenderli e a sistemarli nel barattolo che conteneva anche un po’ di terra.
Si partiva poi in bicicletta , io sulla canna, e si arrivava sulla riva di uno dei canali che percorrono la mia zona.
Mi piaceva stare seduta sul ciglio del canale ad aspettare che i pesci abboccassero, tenendo d’ occhio il galleggiante.
C’ era caldo e si sentivano solo i grilli , le cicale e il tonfo delle rane che si tuffavano in acqua, mentre l’ odore dell’ acqua melmosa ti riempiva le narici.
I miei fratelli mi avevano insegnato a innescare gli ami e a lavare poi le mani nell’ acqua del canale, a lanciare la lenza di una piccola canna senza rimanere impigliati nell’amo e a non lasciarsi prendere dall’ ansia di tirare su il pesce al più piccolo segnale di abboccamento, ma si doveva aspettare che il galleggiante andasse sott’ acqua: allora sì che potevi alzare la canna e sperare che ci fosse attaccato un pesciolino.
Non mi faceva per niente pena vedere il povero pesce dibattersi mentre gli veniva tolto l’ amo dalla bocca; oggi sarei molto più compassionevole.
In genere si pescavano dei pescigatto o dei “gobbi” o altri pesciolini di minor pregio, che poi mia madre puliva e friggeva.
Andare a pesca, oltre che un divertimento ,era un modo per rimediare una cena gustosa.